“Sulle spalle dei giganti” – Primo incontro
La crisi dell’uomo moderno: un’ipotesi da verificare
27 ottobre 2016
Franco: Buonasera a tutti. Come potete immaginare sono in difficoltà perché è la prima volta che mi trovo a pensare e ad organizzare insieme a degli amici un intero corso che abbia in qualche modo la presunzione di riguardare insieme la storia della letteratura italiana. Vi dico com’è nata l’idea anche perché lo scopo di questa sera è proprio quello di introdurci a un criterio con cui poi affronterò le quattro serate di quest’anno e le cinque dell’anno successivo, perché l’idea è un percorso in dieci serate. Ripercorrerò la storia della letteratura ma la cosa interessante è capire da quale punto di vista, con quale criterio. Mi spiace un po’, lo notavo parlando prima con alcuni di voi, che mi hanno detto che amici avrebbero anche desiderato venire ma alla fine han fatto la scelta, guardando il programma, di partecipare solo a serate con a tema qualcosa di puntuale. Hanno fatto la scelta decisamente sbagliata. E l’avete indovinata voi perché stasera vorrei provare veramente, con molta semplicità, a capire di che cosa stiamo parlando, che tipo di percorso, che tipo di lavoro vi invito a fare riguardando insieme, attraverso la letteratura, la storia del nostro paese, dell’occidente, e del “fenomeno religioso” per come l’abbiamo poi ereditato, per come l’abbiamo conosciuto, per come cerchiamo di viverlo e di capirlo.
Io prendo lo spunto, (cerco di essere molto sintetico perché siamo partiti un po’ in ritardo e non vorrei trattenervi troppo) da un libro, un libricino in realtà, perché sono 30 o 40 paginette, di don Luigi Giussani, che molti tra voi sanno essere stato un po’ il mio riferimento, il mio maestro lungo tutta la mia vita, un libricino che in realtà non è altro che il testo di una serie di incontri che aveva tenuto in alcune università italiane, che s’intitola “La coscienza religiosa dell’uomo moderno”, dove don Giussani mette a tema in modo molto radicale in sostanza la domanda: “Com’è andata che siamo finiti così?” così male, s’intende. E quindi, siccome è stata l’ipotesi su cui ho lavorato per trent’anni insegnando italiano e storia, con gli amici s’è detto: “Potrebbe essere interessante rifare questo percorso insieme”. Percorso che io per me rifaccio veramente volentieri e spero che abbia una qualche utilità anche per voi.
Perché le cose sono andate così. Io ho sempre desiderato fare l’insegnante, ho sempre desiderato studiare lettere, la letteratura, mi aveva avvinto fin dalle medie, per merito di questa grandissima insegnante di lettere che avevo avuto. Solo che poi la vita è andata in un modo per cui non sono riuscito a studiare granché. Qui stasera farò delle confessioni che vi prego di trattare con un po’ di riservatezza, per non farmi far figure. Non ho potuto studiare granché nel senso che per la condizione della mia famiglia ho dovuto andare a lavorare. Mio padre in realtà provò a mandarmi in una scuola lì in paese, perché del liceo diceva: “Non se ne parla! 5 anni sono troppi”. C’era una scuoletta che avevano appena aperto per segretarie d’azienda e disse “Guarda, due anni lì li puoi anche fare ma di più non ce lo possiamo permettere”
E allora ho cominciato a fare questa scuola ma dopo il primo mese ho capito che era meglio andar via. È arrivata una tizia che si è messa a insegnare “calcolo a macchine”, sembra di parlare della preistoria ma si imparava a usare le calcolatrici Olivetti grosse così, e già quello mi infastidiva. Poi è arrivata una tizia che iniziava “computisteria” e mi ha dato un quaderno che invece che i quadrati quadrati ce li aveva bislunghi, non so cosa si dovesse farne, non l’ho mai capito, ma un quaderno con i quadratini bislunghi a me non mi andava giù. E poi ne arriva un’altra ancora che voleva insegnarmi stenografia. Si è messa alla lavagna, ha fatto dei ghirigori pazzeschi e dice “imparerete a scrivere così”. Lì mi sono alzato, ho fatto la cartella e me ne sono tornato a casa. Sono andato da mio papà e gli ho detto “papà, vado a lavorare, prendo quattro soldi e aiuto di più la famiglia così”. Allora lui ci ha ripensato, la professoressa lo tampinava perché mi mandasse al liceo, abbiamo provato a iscrivermi, il mio sogno, al liceo classico, dove ho scoperto di non poter frequentare perché non avevo fatto l’esame di latino in terza media. Allora era facoltativo, lo stavano eliminando. Una certa cultura ha fatto battaglie epocali per l’eliminazione del latino, cioè della grande radice linguistica della tradizione cristiana, finché lo hanno eliminato. Ma c’è stato qualche anno che si poteva fare o non fare e io scelsi di non farlo per essere sicuro di ottenere una media altissima e vincere una borsa di studio che era in palio in provincia. La vinsi però non frequentai latino. Scoprii solo dopo che questo mi impediva di accedere al liceo classico. Allora tornando verso la stazione dei pullman di Bergamo, mi ricordo bene, piangevo come una fontana, siamo passati di fronte al liceo scientifico ho detto: “Papà, entriamo qui! Al liceo scientifico c’è tutto: latino, filosofia, storia, anche se la matematica non è proprio il mio…” Alla fine lo convinsi, mi iscrisse, ma poi le cose andarono in modo tale che dopo due anni dovetti comunque lasciare per andare a lavorare.
Quindi ho poi fatto la maturità da privatista e l’università. Anche lì ahimè volevo far lettere ma siccome avevo la maturità magistrale con la quale allora potevi accedere solo alla facoltà di magistero, la laurea in pedagogia, a meno che non facevi l’anno integrativo, ma per l’anno integrativo era obbligatoria la frequenza e io dovevo lavorare. E perciò sono entrato alla facoltà di pedagogia. Va bè c’è un po’ di tutto anche lì…
Insomma, era per dirvi che non ho studiato veramente niente nella vita se non grazie a una sconfinata curiosità. Mi piaceva leggere, ho sempre letto tantissimo, ma, quando sono diventato insegnante, questa è la cosa che vorrei comunicarvi stasera in maniera forte, mi sono ritrovato con un programma vastissimo, molte cose non le conoscevo proprio, nessuno me le aveva insegnate, io avevo letto tanto ma a mio gusto e a seconda delle citazioni che sentivo fare all’uno o all’altro dei miei maestri. Quindi navigando molto a vista, ho scoperto che quell’anno avrei dovuto cominciare ad insegnare in terza, quarta e quinta ragioneria la letteratura italiana e mi sono trovato una montagna di cose da leggere e poi da spiegare. E mi sono chiesto: “Ma con che criterio io adesso scelgo che cosa val la pena leggere, come leggere? Tutto è impossibile.” Il programma è ambiziosissimo ma sapevo bene che non si sarebbe potuto fare che un decimo di quello che il programma chiedeva. Mi sono veramente chiesto un criterio, per scegliere, per scegliere gli autori, e all’interno degli autori scegliere le opere che valeva la pena approfondire e leggere insieme ai ragazzi. Perché se non hai un criterio non c’è un lavoro da fare, non puoi invitare le classi a verificare con te un’ipotesi se tu quest’ipotesi non ce l’hai.
E mi venne in mente questo libretto che conoscevo già. Lo andai a riprendere e semplicemente, credo di poter dire per quarant’anni, mi son preso il gusto di andare a vedere, attraverso i testi della letteratura, non della critica, attraverso i testi, andare a vedere se l’ipotesi di interpretazione del mondo contemporaneo che qui Giussani suggeriva, poteva stare in piedi. Bene, quello che io vorrei fare con voi in nove serate è raccontarvi di questo lavoro e di che cosa mi sembra di aver visto a conferma o a sconferma dell’ipotesi, cosa mi sembra di aver visto nei testi, proprio leggendo Il principe di Machiavelli, leggendo l’Orlando furioso dell’Ariosto o Leopardi. Poi cercheremo di arrivare fin quasi ai tempi nostri. Quindi la cosa interessante mi sembra non tanto spiegarvi gli autori. Insomma, credo che tutti voi conosciate se siete qui, anche solo per un’infarinatura o molti, se sono insegnanti, conosceranno anche meglio di me certi autori piuttosto che certe opere. Non è questo. Io vorrei semplicemente invitarvi, anche chi ne sa più di me e magari poi ne riparleremo, invitarvi a riguardare in modo anche piacevole, faremo delle bellissime letture, a riguardare la storia della nostra letteratura per andare a vedere se questa ipotesi che adesso vi propongo funziona o non funziona. Tra l’altro saranno serate semplici, ma come sempre con me lo sapete e se siete qui credo che non vi aspettiate lezioni accademiche, analisi del testo, critica dell’ultima ora, tutte robe che a me fanno venire l’orticaria.
Ho amato la letteratura perché come sapete, come dico sempre, ho incontrato leggendo, uomini più grandi di me, veramente giganti, sulle cui spalle mi sono potuto in qualche modo arrampicare per guardare lontano, per capire, perché c’è così tanto da capire, come si fa a stare fermi? E se qualcuno ti può accompagnare, un maestro ti può aiutare, uno che ha fatto già un pezzo di strada ti può indicare con sicurezza il sentiero, perché non andargli dietro? Come si fa a rimanere fermi? Perché le cose da capire sono tante, lo vedete, e io più studio e più leggo più mi si aprono questioni, domande.
Adesso per esempio nell’incontro coi miei amici russi, o siberiani. L’altro giorno ero con un amico poeta bielorusso che ho portato a vedere Bergamo alta. Io spero, tra l’altro, che nella vita prima o poi abbiate la gioia di visitare Bergamo alta, cioè una delle città più belle d’Italia, una rocca, un’intera città conservata benissimo attorno alle mura Venete. Questo poeta e i suoi accompagnatori si guardano intorno (c’era anche un regista o sedicente tale) e si chiedono: “Ma da dove viene questo mondo? Da dove viene questa roba che vediamo? Una città così, immaginata così, costruita così?” E diceva questo poeta: “Dove perfino le pietre parlano della fede”. E io a cercare di spiegargli che è un po’ che loro stanno zitte o non le ascolta più nessuno! Perché se pensava che per la tradizione cristiana in cui abbiamo vissuto, il nostro popolo (italiano intendo, tanto a Roma quanto a Bergamo credo) abbia una fede spiccata, abbia un sentimento religioso vivo, si sbaglia. Gli ho detto: “Guarda che sei fuori strada!”. E gli ho raccontato alcuni aneddoti che qui non stupirebbero nessuno ma lui veramente non voleva crederci, cascava dalle nubi, non ci credeva. E invece è andata esattamente così, come adesso cercherò di dirvi.
Insomma, nell’incontro con il resto del mondo vien su la voglia di capire. Di capire chi siamo, chi siamo stati, da dove veniamo e da dove viene tanta confusione, tanta incertezza, tanta irrazionalità, tanta debolezza, debolezza proprio strutturale dei nostri figli, dei nostri bambini. E perciò come affrontare, non come curiosità intellettuale, che lascia il tempo che trova, ma per capire come guardare le cose e vivere le cose importanti che ho da vivere. Cioè, la molla è sempre un interesse personale ad essere veri, a realizzare in qualche modo qualcosa di vero, di bello e di grande, per sé e per gli altri, per le persone a cui si vuol bene. Ho trovato proprio in questo testo di Giussani una citazione che mi ha folgorato, ve la leggo: “Io mi sento di nuovo un uomo perché provo una grande passione, e la molteplicità in cui lo studio e la cultura moderna ci impigliano e lo scetticismo con cui necessariamente siamo portati a criticare tutte le impressioni soggettive e oggettive, sono fatti apposta per renderci tutti piccoli, e deboli, e lamentosi e irresoluti. Ma l’amore, l’amore non per l’uomo di Feuerbach, non per il metabolismo di un altro tizio, non per il proletariato, ma l’amore per l’amata, l’amore per te, fa dell’uomo nuovamente un uomo”. Lettera di Karl Marx alla moglie, 21 giugno 1856. Sembra incredibile! è per questo che ci si muove, si cerca di capire, di ragionare e ci si aiuta, ci si accompagna. Io ci provo facendo questo lavoro e proponendo di farlo con voi. Ecco, l’intendimento è questo.
Si è capita questa cosa che ho detto? Io vorrei dirvi l’ansia che ho. Io ho l’ansia veramente di capire perché guardando i miei figli, i miei alunni, i miei amici, ci si possa aiutare, nel casino totale in cui ci troviamo. Succedono delle robe per cui uno se appena appena ha conservato l’uso della ragione non ci si raccapezza, si chiede com’è possibile. Per farvi un esempio la notizia che mi ha raccontato il mio amico Filonenko in Ucraina dieci giorni fa, che è stato per la prima volta inaugurato un monumento in pompa magna con cerimonie importanti, a Ivan il Terribile, che è un personaggio della storia di prima della fondazione della Russia, che in quanto a crudeltà, in quanto a disumanità al suo confronto Stalin era un seminarista, un chierichetto. E adesso, nel 2016, un popolo, un popolo che è il popolo russo, intelligente, mica gli ultimi arrivati, erige monumenti a Ivan il Terribile. Cosa sta succedendo? Cosa è successo? Perché il problema di capire cosa sta succedendo, come sapete bene, è capire che cosa è successo. È tutto il valore e il significato della storia. Io vorrei capire dove è finita la testa degli uomini, come si faccia a essere diventati così irrazionali e tra l’atro vantandosi di essere arrivati all’apice del razionalismo.
Faccio un esempio: vado dal tabaccaio a prendere le sigarette. Mi spiegano che per una normativa europea d’ora in poi tutti i pacchetti di sigarette avranno queste foto terrificanti di cellule cancerose, di denti marci, di zone critiche, ma delle cose! Se non fumate andate a vedere. Una roba da voltastomaco. Le avevo già viste, ma questa mi mancava: su questo pacchetto di sigarette sapete cosa c’è scritto? “Normativa Europea: il fumo può uccidere il bimbo nel grembo materno”. La foto rappresenta due genitori disperati davanti a una piccola bara bianca. A me quando l’ho visto mi è venuta su una roba… Perché questi stessi che impongono come normativa europea di mettere questa roba sul pacchetto di sigarette sono quelli che approvano l’aborto fino a sette mesi o fino a otto mesi e mezzo! Ma vi rendete conto che siamo in un mondo di pazzi? Bisogna provare a rimettere in fila le cose. Ma proprio l’abc dell’esperienza umana, dell’uomo, della ragione, della libertà. Bisogna provare a rimettere a tema veramente i fondamenti. Perché io se fossi in Parlamento direi: “Ma brutti disgraziati, siate almeno coerenti!” Vorrei veder scritto “Il fumo può uccidere il bimbo nel grembo materno” e quando giro il pacchetto mi piacerebbe leggere “L’aborto invece lo uccide di sicuro”, o qualcosa del genere insomma. Siamo in un mondo di matti. È andato perduto qualcosa di decisivo e di importante. Qui il lavoro che faremo è provare molto umilmente a rimettere insieme i pezzi, serenamente, senza polemiche, perché non si tratta di individuare i nemici, il Nemico sappiamo benissimo chi è. Il problema è ridirci insieme e accompagnarci per quel che si può a camminare verso la verità. Ci aiuteremo a farlo attraverso la storia della letteratura, perché è quello che so fare. Altri potrebbero parlare di arte o altro ancora, ma occorre trovare i segnali per capire di più, per capire meglio, perché l’uomo vive sempre nel presente, il valore della storia è questo.
Se io dovessi chiedere a uno di voi: “Tu chi sei?” Ognuno di voi che cosa è? È l’insieme di due cose: la sua storia e la sua libertà. Siamo questo. In ogni istante presente siamo la nostra storia e la nostra libertà. Senza storia non c’è persona, non c’è io, non c’è personalità. Capire di più il passato, capire di più chi ci ha preceduto, capire di più i maestri, capire di più l’eredità nel bene e nel male che ci è stata consegnata è la nostra forza, è il nostro grande compito, tra l’altro riappropriandoci della storia, laddove ci fosse stata consegnata un po’ addomesticata. E il problema naturalmente capite che è serissimo. Bene, so anche che sarò tacciato di revisionismo ma questo a voi non ve ne frega niente no? Cioè, quando si dicono certe cose, si ha il coraggio di dire certe cose, ti vengono a dire che sei un revisionista, cioè uno che vuole andare a spostare, a rivedere la storia per difendere le proprie ragioni, per andare contro a quelle di altri. A me dei revisionismi non me ne frega assolutamente niente. Io voglio capire, lo scopo di questo corso è provare a capire di più insieme. E ci vuole un po’ di coraggio, questo sì, ci vuole un po’ di coraggio a far entrare un’ipotesi, un giudizio, una possibilità che magari non avevamo immaginato. Il libro infatti comincia proprio con quest’avvertenza meravigliosa: “Niebur ha osservato molto acutamente che gli uomini raramente apprendono ciò che credono già di sapere. Sono persuaso che a proposito del fatto religioso in genere, e del cristianesimo in particolare, tutti crediamo già di sapere invece non è impossibile, riaffrontandolo insieme, approdare a qualche aspetto di conoscenza nuova”. Ecco, questa è la sfida, proviamo col massimo di apertura, ad andare a vedere e capire del cristianesimo e di quel che è accaduto al fatto cristiano, soprattutto dal medioevo a oggi, cercare di capire cose che immaginavamo o che pensavamo di sapere e vanno invece riscoperte come nuove.
Bene, detto tutto ciò, io vorrei cominciare da una questione. Sono stato un giovane insegnante di religione tanti anni fa, mentre appunto studiavo, lavoravo, per otto anni. Uno dei primissimi anni in cui ho insegnato, ricordo come fosse adesso quell’episodio, è arrivato a sera a casa mia un papà di un paese della valle. Allora io avevo 21 o 22 anni, i miei alunni, se ripetenti, avevano quasi la mia età e il rapporto con loro era molto diretto, molto facile. Arriva questo papà e scoppia a piangere. Durante il dialogo mi dice: “Professore, io sono venuto a chiederle questa carità. Io cerco di educare mia figlia secondo la fede che ho ricevuto, i valori cristiani, l’esperienza cristiana, ma non c’è verso. Provi lei che vedo che è amico, che c’è un rapporto, che vi capite, a dare a mia figlia la fede che io non riesco a dare”. Poi si tira su la manica della camicia e battendosi la mano sul braccio diceva quasi urlando, disperato, “Io la fede ce l’ho, mi scorre nel sangue, ma non riesco più a darla a mia figlia”. Quell’episodio fu per me assolutamente illuminante, a parte perché c’ero dentro fino al collo anch’io, perché fu tutta una generazione che scoprì che improvvisamente non sapeva più dare alla generazione dei propri figli il patrimonio di tradizione che aveva ricevuto in eredità e che tutto sommato era andato avanti in modo abbastanza coerente per secoli, di padre in figlio. Era accaduto qualcosa che bisognava cercare di capire.
Aggiungo, e non mi sembra cosa da poco, che non è il problema solo delle famiglie, è la tragedia che ha vissuto la Chiesa. È la Chiesa intera che ad un certo punto si è ritrovata separata da una generazione di giovani e nell’impossibilità di comunicare ciò che ne giustifica l’esistenza, comunicare la fede. Che cosa era accaduto? Che cosa stava accadendo? Ve lo provo a descrivere con tre disegnini, quelli che facevo a scuola coi ragazzi.
Immaginate che questa sia la linea del tempo, della storia, che procede. A un certo punto abbiamo il nostro Dante. Ecco, che cosa accade a un certo punto più o meno dopo Dante? Lo metto dopo Dante per far capire che è grosso modo la fine del Medioevo. Accade che la classe culturale, la classe intellettuale, a un certo punto elabora una cultura che pian piano nei secoli si allontana sempre di più da quella che era stata una cultura cattolica, cristiana, che aveva visto vivere la stessa sensibilità tanto al poeta, quanto al principe, quanto al contadino. La cosa da notare interessante mi sembra questa: che io qui ho messo umanesimo, Rinascimento, il secolo della scienza, il ‘600, poi l’illuminismo, c’è tutto un percorso che io voglio verificare leggendovi pagine di letteratura per capire che cosa è accaduto, che tipo di cultura si è elaborata nei secoli. Il terzo disegnino che facevo, andavo avanti e facevo vedere questa cosa: che ad un certo punto, molto preciso, che abbiamo vissuto in modo così drammatico la mia generazione e quella successiva, quella cultura, che si è elaborata nei secoli e che è stata appannaggio di fatto di una classe borghese, colta, intellettuale, che ha elaborato una certa idea di scienza, di fede, di ragione, che io definisco così “il dopoguerra” o più sinteticamente “il 68”, ma è il dopoguerra in Europa, quella cultura irrompe improvvisamente nella vita della gente. Fra il Dante che c’è là in fondo e il papà della mia alunna o il mio nonno Francesco, o alcuni contadini che voi stessi potete aver conosciuto e incontrato, dico contadini per dire gente del popolo qualsiasi mestiere facesse, c’è una continuità per cui il popolo continua a vivere della stessa fede, degli stessi criteri, della stessa fede, speranza e carità.
Se io penso alla mia mamma, la Divina Commedia la viveva, non la capiva, ma la viveva tutta e così molti dei cristiani che ho conosciuto della generazione precedente la mia. Il popolo va avanti a vivere in continuità con la tradizione, se ne separa invece una certa classe intellettuale e borghese. La cosa che è capitata, e l’ho capita soprattutto leggendo Pasolini, è che a un certo punto in quello che chiamiamo Dopoguerra, o ’68, o rivoluzione culturale, chiamatela come vi pare, quella cultura irrompe nella casa della gente, a tavola, attraverso due cose: la televisione, cioè i mezzi di informazione che diventano di massa, e attraverso la scuola di Stato. Sono i due strumenti attraverso cui questa rivoluzione avviene. Quel povero padre che cosa non sapeva? E a me in qualche modo sembrava di intuire quale fosse il problema. Quel povero padre non sapeva, non si dava ragione del fatto che tra lui e sua figlia ci fosse questa distanza incolmabile. Perché lui pensava che tra lui e sua figlia, come tra lui e suo padre, ci fosse una distanza di 25 anni, di una generazione. Invece, tra lui e sua figlia si erano infilati 500 anni, e avevano stabilito una distanza difficilmente recuperabile, cosicché non aveva quel povero padre, e mi vien da dire e quella povera Chiesa, non aveva strumenti adeguati per comunicare ciò che lo faceva vivere. Se fosse stato chiamato a testimoniare la fede attraverso il martirio, quell’uomo lì la dava la pelle per Cristo, tanto era viva in lui l’esperienza della fede. Era successo qualcosa che rendeva difficilissimo comunicarla alla figlia. Tra le due generazioni era accaduto quel percorso, si capisce? Ecco, dobbiamo rendercene conto perché quando accuso la scuola o una certa impostazione della scuola di stato di aver favorito questa amnesia, in fondo ho in mente una lotta culturale, scientifica, precisa, fatta di strumenti e di scelte molto precise, contro la tradizione e contro il cristianesimo. Quando dico questo non mi sembra di dire delle fesserie. Tant’è che dalla scuola che abbiamo frequentato, abbiamo tutti ereditato una certa idea, anche senza accorgercene a volte. Se ci fermiamo forse ci viene in mente la predica di don Maurizio, la spiegazione di Lonardo, ma d’istinto c’è un assetto culturale che è prima di tutto e comunque nemico del cristianesimo che abbiamo respirato tutti.
Vi faccio due esempi clamorosi: uno è un filmato, dura due minuti, si chiama “La storia del mondo in due minuti”. L’ha fatta un ragazzo americano e nel primo mese ha avuto milioni di visite, cioè l’ha visto il mondo intero, e tutti a dire “fantastico, bellissimo, che sintesi e bla bla”. Io quando l’ho visto sono semisvenuto, non volevo crederci, ma capivo anche che nella testa dei miei figli, dei miei alunni, della gente, dei miei amici, io stesso, non sono del tutto fuori da una mentalità così, perché me l’hanno troppo martellata nella zucca fin da quando ero piccolino. È la storia del mondo in due minuti, la vediamo e spero che anche voi facciate un salto sulla sedia e diciate “no, non è possibile!”. Eppure nell’immaginario, fate delle verifiche, di tutte le giovani generazioni europee credo, la storia del mondo è sentita e vissuta così.
La cosa più incredibile è che c’è un momento di buio. Quel momento di buio lì è il cristianesimo, è saltata a piè pari tutta la storia cristiana, si arriva a definire tutte le religioni antiche più o meno, ma lì si ferma, c’è un istante di buio e si riparte dal Rinascimento. Non esiste Cristo, non esiste il cristianesimo. Cancellato. Questo video lo faccio vedere in tutti i collegi docenti in cui vado, soprattutto se si tratta di scuole cattoliche, ma anche statali perché è una menzogna così clamorosa che uno dice “No, non ci posso credere!” Un minimo di onestà intellettuale. Ma io dico, a maggior ragione una scuola cattolica, abbiamo fatto per tanti anni anche buone scuole cattoliche preoccupati magari di insegnare comportamenti e valori ma a volte, non sempre, la cultura che è passata era questa qui, anche nelle scuole cattoliche. Tanto che in quegli anni famosi e ruggenti, la Chiesa sembra aver prodotto dal proprio interno i peggiori nemici della Chiesa.
Adesso è bello vedere una scuola come questa che si tira su le maniche e nel 2016 dice: “Fermi, proviamo a ricapire. Proviamo a rivedere la ragione per cui val la pena che delle suore diano la vita per la scuola e per l’educazione e le famiglie si mettono insieme a capire, proviamo a vedere se per caso non ci sia un’ipotesi culturale seria, vera, da perseguire, da andare a vedere. Non dei dogmi cattolici da insegnare, ma un’ipotesi culturale positiva, che tenga conto di tutto, da capire insieme ai nostri ragazzi.
Far cultura veramente, perché quel secondo lì di buio, in realtà non è vuoto, è pieno, pieno di un’altra serie di immagini che sono quelle che tutti abbiamo ereditato e per cui alla parola Medioevo cosa associamo immediatamente? Il peggio del peggio. La sequenza più convincente che io abbia visto finora rispetto a questo tema è in quel film strepitoso che è “Se Dio vuole”. Antefatto: famiglia borghese romana, lui grande chirurgo, pieno di soldi, ha una figlia già sposata, un po’ scema, il marito tanto. Notano che invece il figlio minore, maschio ha frequentazioni un po’ ambigue, ha un amico che lo viene sempre a prendere. Finché questo stesso figlio una sera dice al papà di radunare tutta la famiglia perché deve parlargli. Lui parla con la moglie, con i parenti e dice: “Dai, oggi ci dirà che è gay”. La moglie dà fuori di matto ma lui, moderno, dice: “Ma insomma bisogna finirla con questi pregiudizi, l’importante è amare, dobbiamo accoglierlo, abbracciarlo!” E si mettono d’accordo insomma per far sta manfrina che quando lui dirà “sono omosessuale” gli correranno incontro per abbracciarlo, per dirgli “bravo, l’importante è amare, siamo tutti con te”. E avviene questa scena, godiamocela perché è una sintesi meravigliosa. [Il figlio dice che vuole entrare in seminario e nella testa del padre scorrono immagini dei roghi delle streghe, della censura, delle guerre…]
Avete visto quei venti secondi di immagini terrificanti? Alle parole “prete cattolico” a lui viene in mente questa che potrebbe essere intitolata “Sequenza sintetica sul Medioevo”. Siamo tutti così, l’abbiamo respirata tutti quell’aria lì, e bisogna cercare di capire come è andata, cosa è accaduto, perché tutti noi o comunque la gran parte degli italiani, vuoi per la scuola, vuoi per i giornali, vuoi per quel che ciascuno vede abbiamo quell’idea. Come è andata che del cattolicesimo, della fede, del fenomeno religioso si abbia questo giudizio, questa impressione?
Andare a capire come è accaduto è un’avventura straordinaria tanto più se lo si fa, ripeto, attraverso le pagine più belle della nostra letteratura. Io stasera leggo quattro paginette, commentandole un attimo, che sono la dichiarazione esplicita di questa ipotesi di interpretazione della storia italiana ma credo si possa dire, di tutta l’Europa.
Giussani la annuncia facendo riferimento a un brano di Thomas Eliot, I cori della rocca, opera teatrale che poi ha avuto un’edizione sua, autonoma, scritta nel 1943. È preziosissimo stasera capirla bene perché poi ho proposto agli organizzatori che dalla prossima volta si possa avere il testo, così lo meditate anche a casa, lo preparate, interrogo con il registro, facciamo una cosa fatta bene.
Sono quattro pagine che a me, quando vi dicevo che mi sono trovato nei guai e dovevo capire come leggere tutta la letteratura e tutta la storia, cosa scegliere, e cosa proporre, hanno permesso di fare questo lavoro e mi hanno fatto lanciare questa sfida alla prima classe che ho avuto così come all’ultima. Ho sempre detto: “Sentite, c’è un’ipotesi che mi preme verificare, facciamolo insieme. Andiamo a vedere se è vero”. In alcuni luoghi lo era, in altri meno, un lavoro, un’ipotesi da verificare. Giussani, riprendendo Eliot, la introduce così: “Per affrontare ciò che intendo dire prenderò spunto da una pagina del poeta inglese Thomas Stearns Eliot che nel settimo dei suoi Cori da “La Rocca” rievoca poeticamente la storia religiosa dell’umanità.Prima il cosmo è descritto come “Deserto e vuoto. E tenebre erano sopra la faccia dell’abisso”. “Deserto e vuoto”, “tenebre” coincidono con l’assenza di significato. Sarà infatti l’uomo a popolare il deserto e il vuoto: in lui la natura stessa parte per l’avventura inesauribile della ricerca del significato”. Cioè, l’uomo, nel creato, rappresenta quella parte della natura che riflette su di sé, che si fa delle domande, che prende coscienza di sé. Il cane, il gatto, l’erba, checché se ne dica (perché adesso non è più chiaro neanche questo ma per me è chiarissimo), il cane, il gatto, il vegetale, il minerale, la realtà creata non ha coscienza di sé, non ha l’anima, l’uomo è quella parte della natura che prende coscienza di essere e perciò si lancia con le domande che lo caratterizzano. “Venne l’uomo e si scatenò subito il tentativo ininterrotto per immaginare, definire, realizzare teoricamente, praticamente ed esteticamente il nesso che corre tra il momento vissuto, passeggero ed effimero, ed il senso eterno, ultimo di esso”.
Cioè, l’uomo è quella parte della natura che ha bisogno di sapere se quel che ha e quel che è e quel che vive, per infinitesimale che sia, abbia rapporto con l’essere, col destino, con l’infinito e con l’eterno, mi vien da dire per gli amanti di Dante, con le stelle.
“L’uomo in tutti i tempi, anche quando dichiarava l’opposto, ha affrontato e vissuto questo impegno interpretativo. La ricerca di questo nesso tra l’istante e il tutto, l’eterno, è un fenomeno ineludibile per l’umana ragione, perché l’uomo da sempre, e più profondamente di quanto abbia avvertito gli altri suoi bisogni, ha vissuto l’urgenza di interrogarsi e di non lasciare inevasa la risposta sul fine ultimo del suo camminare”.
Lo dice don Giussani ma in letteratura lo troveremo, cito solo a memoria adesso Foscolo. Quando uno legge I Sepolcri di Foscolo, che non era proprio un baciapile, quando dice che un uomo è un uomo “Dal dì che nozze e tribunali ed are” (cioè la ricerca del vero, la ricerca del bello e la ricerca del bene, il sentimento religioso, il matrimonio, cioè l’affettività e la politica, cioè il bene comune), da quando ha cominciato a sentire queste tre cose, da quando ha cominciato a seppellire suo padre e sua madre, ha cominciato a chiedersi se ci fosse rapporto con le stelle, con l’essere.
“Tra il polo dell’effimero e quello del destino ultimo scatta la scintilla della religiosità. E inizia così il lavoro per gettare “il ponte”, – direbbe Victor Hugo in una sua poesia – a centinaia e migliaia di arcate tra la sponda umana e la stella lontana.Ci sono nate tutte le religioni”. Le religioni cosa sono? Il tentativo di raggiungere Dio, di conoscere l’Essere. “La religione infatti altro non è che il tentativo di costruzione teorica, etica e rituale del modo con cui l’uomo immagina il rapporto con il suo destino. Tale immagine porta con sé un certo modo di pensare, di vedere la realtà; stimola ad un certo atteggiamento verso quel destino immaginato, perciò spinge ad una certa moralità; infine richiede di vibrare esteticamente, poeticamente in certi riti, in certi gesti. La somma di questi modi di pensare, di agire, di ritualizzare è la religione.
Eliot dunque rievoca tale tradizione religiosa dell’umanità. I grandi iniziatori di religioni hanno proposta agli uomini le loro offerte di cammino, quasi dicessero: “Venite con me; io vi insegnerò la via”, oppure: “Questa è la strada della perfezione”, o ancora: “Per essere utili alla storia, al mondo, questo è il sentiero da percorrere””.
Cioè, tutti i geni religiosi dell’umanità hanno indicato quale dovrebbe essere la strada da percorrere. Ma, secondo passo, un fatto anomalo è accaduto. Nella storia, che stava andando avanti così, con una pluralità si soluzioni, di accenti, di divinità, di adorazioni, di religioni, ad un certo punto, continua il poeta, è insorto un fenomeno assolutamente nuovo. “Non Uno che abbia detto: fra il momento contingente che tu vivi e il significato eterno di esso, fra questo punto oscuro in cui sei e la stella più vicina nel cielo, bisogna seguire questa strada. S’è levata invece una Voce che ha preteso di identificare il Destino con sé. Non più l’uomo che indaga il mistero, che cerca di immaginarsi il suo destino, ma un uomo che ha osato dire: “Io sono quel Mistero, io sono il tuo destino”. Non “Vi insegno la via” ma “Io sono la Via, la Verità, la Vita”.”
Cioè è accaduto il cristianesimo. L’immagine che evoco sempre. Se fino a quel momento gli uomini, nel loro sforzo titanico di raggiungere il cielo non ci sono mai arrivati, pensiamo al mito di Icaro che ripiomba in mare, il cristianesimo si pone proprio come un fatto nella storia perché Dio ha deciso di esser lui a venir giù, in contro agli uomini. E il poeta lo descrive con questo brano. Spero di non tediarvi ma che lo gustiate anche voi con me.
“Quindi giunsero, in un momento predeterminato, un momento nel tempo e del tempo,
Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia, sezionando, bisecando il mondo del tempo, un momento nel tempo ma non come un momento di tempo,
Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c’è tempo, e quel momento di tempo diede il significato.
Quindi sembrò come se gli uomini dovessero procedere dalla luce alla luce, nella luce del Verbo,
Attraverso la Passione e il Sacrificio salvati a dispetto del loro essere negativo;
Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima,
Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce,
Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via”.
Cioè sembrò allora che arrivato Dio sulla terra, la strada fosse finalmente e definitivamente segnata, la luce era lì, la strada è quella e gli uomini avrebbero camminato dalla luce alla luce senza mai cambiare strada.
“Il Cristo ci ha lasciato uomini, ma ci ha consegnato l’impossibilità a fermarci, la tensione al destino. “Sempre in lotta”. Questa è la caratteristica antropologica più sensibile portata all’umanità dall’annuncio di Cristo. Da quel momento il mondo fissò i suoi anni, uno dopo l’altro, per quella strada. E sembrò che gli uomini dovessero progredire sempre “dalla luce alla luce”, sempre pronti a riprendere, nonostante tutto, la via illuminata, camminando come potevano, ma camminando sulla scia di quell’Avvenimento senza paragoni.”
Invece non è andata così. Qualcosa è accaduto che non ha permesso alle cose di andare così. Dice il poeta:
“Ma sembra che qualcosa sia accaduto, che non è mai accaduto prima: sebbene non si sappia quando, o perché, o come, o dove.
Gli uomini hanno abbandonato Dio non per altri déi, dicono, ma per nessun dio; e questo non era mai accaduto prima.
Che gli uomini negassero gli déi e adorassero gli déi, professando innanzitutto la Ragione
E poi il Denaro, il Potere, e ciò che chiamano Vita, o Razza, o Dialettica.
La Chiesa ripudiata, la torre abbattuta, le campane capovolte, cosa possiamo fare
Se non restare con le mani vuote e le palme aperte rivolte verso l’alto
In un’età che avanza all’indietro progressivamente? …..
Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell’abisso.
È la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?
Quando la Chiesa non è più considerata, e neanche contrastata e gli uomini hanno dimenticato
Tutti gli déi salvo l’Usura, la Lussuria e il Potere?”
Commenta Giussani:
“Io credo che questo brano poetico, scritto circa cinquanta anni fa, sia la descrizione profetica della situazione religiosa della maggior parte degli uomini del nostro tempo.
Ritengo tale descrizione il modo migliore con cui porre l’accento sulla situazione religiosa dell’uomo di oggi, situazione in cui l’uomo cammina, vive, si agita; situazione perciò che ha un influsso sulla sua mentalità, sul suo cuore, sul suo gusto morale e sulle sue possibilità di speranza.
Nelle parole del poeta si trova chiarito il contesto in cui il senso religioso viene a trovarsi oggi: sommerso dal tentativo continuo di non farlo agire come un fattore esistenzialmente vivo, operante nel dinamismo educativo, nel dinamismo dei rapporti sociali, quasi per congelarlo come un fattore obliterato”.
Insomma, tutto congiura a fare della religione e delle domande religiose una cosa che con la vita non c’entra niente, non pertinente alla vita. Poi chiarisce che invece la dimensione religiosa, siccome sbuca fuori sempre, e l’uomo la vivrà sempre, si manifesta nella adorazione degli idoli, sempre.
“Gli uomini possono certo eliminare il nome di tutti gli déi, ma si troveranno in ogni caso e senza saperlo un “dio”, in una schiavitù innaturale. Quelli che Eliot chiama Usura, Lussuria, Potere possono essere ricondotti ad una sola parola: la strumentalizzazione vicendevole fra gli uomini, proiezione compensativa di una sudditanza ultima concepita in modo menzognero.
Eliot afferma che non si sa dove o come o quando o perché si sia creata questa situazione. Ma è proprio in una risposta sommaria a queste domande, attraversando la cautela del poeta, che ci vogliamo inoltrare”.
È il lavoro che faremo insieme in questo corso in queste serate. Eliot dice “non si sa quando”. Invece Giussani e io diciamo “Eh, calma, andiamo a vedere. Si potrebbe scoprire cosa è successo, quando è successo”. Il problema è rendersi conto del tema, della difficoltà che abbiamo perché già nell’immaginare, nel descrivere, nel paragonarci per esempio con un’epoca come il Medioevo, sarà difficile. Perché facciamo fatica a capire. Abbiamo altre categorie mentali da una parte e dall’altra abbiamo veramente un pregiudizio che abbiamo assorbito e assimilato, e qui mi sembra che la scuola e anche la televisione abbiano la loro responsabilità.
Vi faccio due esempi: uno è abbastanza noto, credo di averlo fatto in televisione ma non mi ricordo, Il nome della Rosa di Umberto Eco, bellissimo romanzo ma da trattare per quello che è. Bisogna capire che cosa vuol dire l’autore. Io per decenni, vi assicuro, ho assistito a insegnanti di storia che dicevano alla classe: “Guardate, è uscito da anni Il nome della Rosa, leggete questo romanzo e il medioevo così lo saltiamo perché lì c’è tutto il Medioevo”. Ma l’han fatto davvero. A parte che sapete meglio di me che nessuno insegna più San Tommaso, Bonaventura. Il Medioevo ha avuto dei livelli di pensatori da mangiarsi tutti quelli che sono venuti dopo col burro e il pane, e vengono saltati! È il buio del Medioevo…Poi gli tocca dir qualcosa a quelli di storia dell’arte perché Giotto, Romanico, Gotico, Duomo di Milano, San Francesco, alla fine qualcosa bisogna pur dire che di dignitoso hanno fatto questi medioevali. Ma se no la vulgata è questa. E così, generazioni hanno letto Il nome della Rosa pensando di imparare il Medioevo. È esattamente e scientemente il contrario.
Quando uscì il film, ulteriore degrado del contenuto. Perché se era falso il libro quello era almeno bello da leggere, il film è una carognata di una volgarità inaudita. Esce il film, tutti commenti positivi. Scrive un articolo Giudo Sommavilla, direttore mi sembra di Civiltà Cattolica all’epoca, che io ho trovato assolutamente per caso, dove dice così: “Il film è da escludere proprio, ma anche il libro bisogna stare attenti perché Umberto Eco mi ha scritto – diceva Sommavilla – di essere stato l’unico a capire il suo libro quando lo ho recensito sulla Civiltà Cattolica”. Naturalmente ho fatto fatica a trovare il numero di Civiltà Cattolica finché me l’hanno spedito e ho letto questo articolo meraviglioso dove Sommavilla semplicemente dice: “Guardate che questo non è il Medioevo, questo è l’allegro nominalismo di Umberto Eco”. Cioè, il personaggio centrale del Nome della Rosa è un moderno, ma modernissimo razionalista che giudica le credenze religiose e la vita della Chiesa in un modo per cui le spazza via, le fa fuori. Facendo un po’ l’investigatore, cercando l’assassino, che chi è? Il bibliotecario del convento che avvelena le pagine di un libro che se fosse divulgato distruggerebbe il potere della Chiesa perché è un libro che insegna a ridere della verità. Un libro attribuito alla poetica di Aristotele dove Aristotele insegna a ridere della verità dicendo “Guardate che la verità non esiste!” Se gira una voce così la Chiesa è finita, non ha più su cosa poggiare il suo potere. E allora il frate pazzo avvelena tutti quelli che toccano questo libro realizzando una serie di omicidi. Quello che scopre gli omicidi e scopre questa bella storia come si chiama? Guglielmo. Che è anche il nome di tale Guglielmo di Ockham, filosofo medievale, da cui nasce un movimento filosofico che si chiama nominalismo. È un movimento filosofico che sta forse, qui le teorie si sprecano, alla radice del razionalismo moderno perché lui è il primo che dice: “Guarda che forse è troppo grossa questa storia che noi possiamo incontrare Dio, non ce le si fa dai, non può essere vero, in realtà l’uomo non conosce veramente le cose, conosce solo i nomi che decide di attribuire alle cose e che poi per convenzione sociale vengono in qualche modo ritenuti veri. Ma noi delle cose non conosciamo niente. Di tua moglie, dei tuoi figli, del destino, in realtà non sai nulla. Sappiamo solo i nomi che gli abbiamo dato. La Rosa, che è la Rosa Mistica di Dante, cioè Dio, il nome della Rosa è l’unica cosa che di Dio conosciamo, cioè il nome che gli attribuiamo. Perché Dio non si può conoscere. questa è la tesi, ridotta all’osso, del nominalismo di Ockham. E il protagonista de Il nome della Rosa è proprio un Guglielmo e non a caso il libro finisce con lo slogan proprio del nominalismo “nuda nomina tenemus”. È l’ultima frase che chiude il libro. Tutta questa roba io l’ho scoperta leggendo questo articolo di Guido Sommavilla e da allora sono andato in giro a dirlo ma, vi ripeto, generazioni di studenti, ma anche in buona fede, assolutamente tranquilli, anche cattolici cattolicissimi, han preso il nome della rosa per imparare cos’era il Medioevo. Cioè, proprio il contrario.
Esattamente come ha imperversato nelle scuole italiane un’antologia che si chiamava Il materiale e l’immaginario. Per fortuna adesso non c’è più ma per 20 o 30 anni è stato obbligatorio. Tra l’altro imposto a ragazzi e famiglie, 12 volumi di italiano! Ai miei alunni ragionieri bergamaschi che se hanno letto topolino sul cesso è un livello culturale già alto. Ma vi rendete conto? 12 volumi con un costo per le famiglie enorme. Ho cercato anche di farlo presente ma questa battaglia l’ho sempre persa. Perché mi sembrava proprio ingiusto. Nell’introduzione, lunghissima, colta, gli autori spiegano che il libro nasce da una chiave interpretativa molto precisa e cioè che sono le condizioni di vita materiale a dividere la società in classi, ciascuna classe elabora una propria cultura per difendere il potere della propria classe o per prendere il potere che non ha. Così nascono la religione, la poesia e l’arte. Per cui il libro, per 12 volumi è diviso così: condizioni di vita materiale: il contadino, il prete. Nascita di una classe sociale per difendere quella corporazione lì e poi, terza parte: Elaborazione di una cultura in grado di difendere il potere che quella classe ha acquisito. Ci credete o no? Ci credete che 30 anni circa di studenti italiani hanno studiato su questo testo e sui vari prodotti semi-lavorati che ne sono usciti? Dove l’episodio di San Francesco e del lupo di Gubbio è spiegato così: “È evidente da dove nasce la fantasia di un frate che converte un lupo. Il lupo è il contadino, è il povero che vive nel contado. Il lupo del contado minaccia la vita della città, del ricco mercante che non può uscire perché c’è il lupo, che lo ammazza e lo vuol far fuori perché lui è un proletario, quell’altro no. Il ruolo della Chiesa quale sarà? Ammansire il lupo, cioè dire ai poveri: “State buoni, la rivoluzione non si fa, guardate che così andate in paradiso, anzi, dovreste contenti che i ricchi sono ricchi e voi fate la fame!” E così ammansisce la rabbia del proletariato impedendo la rivoluzione, la rivolta”. È spiegato così eh… su quel libro!
Che tanto cattolicesimo abbia sopportato, patito, una imposizione culturale così il cui risultato è quello che vi ho fatto vedere è una responsabilità grave che abbiamo tutti, tutti dal primo all’ultimo. Però a questo punto almeno andiamo a vedere come sia stato possibile, da dove si è partiti, che cosa è cambiato dal punto di vista della mentalità, della cultura, della morale. Insomma, andiamo a vedere i passi più significativi. Ripeto, leggendo pagine di storia della letteratura che mi sembra comunque un’avventura che vale la pena correre. Dalla prossima volta, vi giuro, leggiamo, nel senso che prendo proprio l’Ariosto, Machiavelli, una battuta sul Medioevo e poi il passaggio Umanesimo e Rinascimento. Magari qualcosa di Lorenzo il Magnifico, vediamo. Andiamo a vedere se è vero che già lì c’è dentro un baco che comincia a svilupparsi e fa quel percorso che il mio disegnino vi proponeva. Siccome sono serate pesanti, capisco che chiedono un certo impegno cerco di farle anche un po’ corte, per non tediarvi troppo. Io per stasera mi fermerei qui, quello che dovevo dire l’ho detto. C’è qualcuno che deve dire altro? Qualche domanda? Qualche obiezione?
Domanda: quella ricostruzione del disegno sulla progressione della storia: lei ha detto che l’ha presa da Pasolini. Ci può dire cosa possiamo leggere di Pasolini?
Forse il libro più pertinente è “Scritti corsari”. Quegli articoli comparsi sul corriere sono forse i più famosi, per esempio quello sulla scomparsa delle lucciole. Perché quando ho citato Pasolini l’ho citato a proposito del fenomeno per cui quella cultura diventa cultura di massa. Sono gli articoli in cui lui, spero di ricordare bene che sia “Scritti corsari”, se qualcuno ne sa di più lo dica, gli articoli in cui lui denuncia che la televisione sta realizzando la peggiore dittatura che l’Italia abbia mai conosciuto, molto peggiore del fascismo. È un ragionamento che gli costò nell’ambito della sinistra non poche scomuniche. Ma lui lì dice che veramente un potere, il potere ha deciso che il popolo italiano doveva cambiare testa e gliel’ha cambiata. Mi sembra che “Scritti corsari” sia la collezione di articoli suoi che più chiaramente dice queste cose.
Domanda: I veri eredi del Medioevo, che reazione ebbero all’inizio del cambiamento? Ci fu una reazione? Si sentirono interrogati dal cambiamento degli altri, dei successivi? Ci fu un’eredità vera? Ci furono delle risposte della Chiesa davanti alle nuove ricerche?
Io credo che sia andata così, ma è uno dei temi che percorreremo insieme. Certamente la Chiesa è andata avanti a vivere la sua fede, tra l’altro guardate che quando dico queste cose non sto dicendo che gli umanisti o i rinascimentali erano mangiapreti, atei, miscredenti, affatto. È tutta gente cristianissima, che va in Chiesa e che, da un certo punto di vista non si accorge che sta però spostando non il punto di vista intellettuale, quello avviene un momento dopo, ma il punto di vista affettivo. Il problema a un certo punto non è Cristo, è il cristianesimo, e questo è già uno spostamento che li fa sentire totalmente dentro, ancora dentro la tradizione. In realtà sta accadendo qualcosa. Petrarca, scrive un bellissimo Inno alla Vergine e certamente sarà andato in paradiso dritto, ma la sua riflessione è tutta sul fatto che affettivamente si sente lacerato. Da una parte capisce che sarebbe bene seguire la gloria, è giusto che l’uomo cerchi il successo, dall’altra lo sente contraddittorio con la fede che vuol vivere e la vuol vivere sinceramente. E dall’altra ancora sente questa fede o questo amore a Cristo a cui è chiamato cozzare in qualche modo con l’amore per Laura, dove ci sono in gioco passioni carnali. E non ci si raccapezza più. Se leggete l’Ascesa al monte ventoso dopo due volte prendete un metro di corda. Dite: “Ma che casino!” Dante vive pochissimi anni prima, dal 1307 fino al 1321 vivono insieme eh…sono coetanei quasi. Ma intanto qualcosa di dirompente si è infilato tra i due. A scuola dicevo sempre: “Se voi chiedeste a Dante “quando volevi nascere?” Io son sicuro che Dante avrebbe risposto “Duemila anni fa, in una certa capanna, magari fratelli gemelli (perché era uno che se la tirava un po’) di quel Gesù lì. Lì, con lui!”” Il problema è: “Se aveste chiesto a Petrarca, pochi anni dopo, son quasi sicuro che vi avrebbe detto “Eh ma i tempi della Grecia classica, cosa è stata l’età di Pericle. Io avrei scelto di vivere lì””. Sono due mondi, sono tutti e due cristiani, ripeto, poi il Rinascimento, Michelangelo, erano cristianoni ma quelli della festa! Ma dentro lentamente si inserisce quel dubbio che ho accennato prima parlando del nominalismo. Non può esser vero, è troppo grande questa cosa che Dio si sia fatto compagno della vita di uno straccione come me. Io non reggo a crederlo. È una sfiducia gnoseologica, non è vero che conosciamo Dio. Insomma, dalla prossima volta lo vediamo proprio nei testi, fatto sta che la risposta c’è anche stata, ma è stata così violenta la sua rimozione per cui noi oggi conosciamo i grandi pensatori laici e non sappiamo nemmeno se siano esistiti nel 500 e nel 600 in particolare e nel 700 in modo speciale, sistemi di pensiero o pensatori che abbiano avuto un certo peso e che invece sono stati scientemente estrapolati dalla cultura di massa. Siccome è avvenuto per Guareschi, per scrittori anche recentissimi, la stessa identica damnatio memoriae, non stupisce che sia accaduto allora. Se ci pensate sono stati osannati sui libri di scuola certi autori che non sono granché e se leggevi una pagina di Guareschi eri fascista. Io dovevo far votare al collegio docenti tutti gli anni, ma lotte vere, per poter insegnare Dante. Perché l’area di lettere aveva deciso che Dante era superfluo e almeno in quinta non si doveva più fare. Io dicevo: “No, in quinta io voglio leggere il Paradiso, andate a farvi benedire tutti”. In quel di Bergamo, non nella pagana Reggio Emilia, nella cattolicissima Bergamo. È qui he dobbiamo capire cosa è successo.
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