“Sulle spalle dei giganti” – Terzo incontro

La Riforma Protestante. Un uomo senza Tradizione, un uomo senza libertà

19 gennaio 2017

Stiamo facendo un percorso che va a verificare un’ipotesi e cioè che ci sia un punto di rottura e delle ragioni storiche e culturali precise che conducono alla modernità, al pensiero moderno e alle sue fatiche e alle sue confusioni. Origine che Giussani individua appunto nel passaggio dal Medioevo all’Umanesimo e al Rinascimento. Dire in due parole quello che abbiamo detto nei due incontri precedenti è fatica. In sostanza abbiamo illustrato il Medioevo come la grande cultura cristiana, che aveva una caratteristica, una concezione unitaria dell’uomo e della realtà e che, età profondamente religiosa, leggeva tutta la realtà come segno, come simbolo. Si parla proprio anche nella critica di “allegoria e simbolismo”. Tutto è segno del mistero che ha fatto tutte le cose verso cui l’uomo si sente in qualche modo chiamato e destinato. Questa unità, questa concezione unitaria dell’esistenza è così chiaramente documentata nella sua punta più eccelsa, in letteratura, con Dante. Ma si potrebbe parlare di filosofia, della Summa di Tommaso, così come degli affreschi di Giotto. C’è un punto in cui quella unità comincia a rompersi, a incrinarsi, ed è appunto il passaggio dal Medioevo alla modernità. Vien meno quella unità e si comincia ad elaborare un’idea della ragione, dell’uomo, del suo posto nella società, della realtà che pian piano, avevo fatto anche un disegnino che chi vorrà ritroverà, che pian piano porta appunto al razionalismo moderno. Questo è quello che abbiamo cercato di dire. Questa sera è particolarmente difficile e un po’ strana, la prossima volta riprenderemo con la letteratura, con classicismo e Foscolo, questo autore che, consapevole o no, riapre la partita di una poesia che dica qualcosa di vero sull’uomo. E poi nel quinto incontro, l’ultimo di quest’anno, tenteremo in una serata di gettare lo sguardo sul Romanticismo, quel fenomeno che in Europa culturalmente cerca di restituire dignità culturale proprio a quella tradizione cattolica: Manzoni e Leopardi per intenderci.

Ho voluto però questa serata sulla Riforma perché mi pareva che questo percorso sarebbe monco di una parte importante se non si capisse che cosa succede tra Medioevo e Modernità, dove succedono tre cose di cui bisogna tener conto. Due non avremo modo di svilupparle se non in una battuta, la prossima volta, e sono evidentemente da una parte la scoperta del nuovo mondo che sembra ridisegnare i confini anche esistenziali dell’uomo europeo, e dall’altra il secolo della scienza e della tecnica, che inaugura un nuovo modo di rapporto con il reale, con la materia, con le cose e perciò un nuovo modo della conoscenza. Questi due aspetti non avremo molto modo di affrontarli, mi premeva invece il terzo, quello della Riforma Protestante perché obiettivamente, il problema religioso in senso forte, esplicito, è importante da capire. Capire qualcosa della Riforma protestante vuol dire capire la coscienza religiosa dell’uomo moderno, tant’è che il libretto a cui faceva riferimento Giussani, La coscienza religiosa nell’uomo moderno raccoglie la sfida lanciata da Eliot che si chiede “Ma quando è successa questa trasformazione? Quand’è che l’umanità che sembrava destinata a camminare comunque nella luce del verbo incarnato, avvenuto quel fatto prodigioso che è l’incarnazione e cioè Dio che mette fine al tentativo inutile degli uomini di conoscerlo, facendo l’unica cosa che poteva fare di utile, cioè lui viene incontro all’uomo per farsi conoscere, per rivelarsi, dopo quella rivelazione il poeta dice “L’umanità ha cominciato a contare il tempo da lì tanto ha sentita significativa questa rivelazione, ecco, da allora è sembrato che gli uomini avrebbero camminato, sempre sbagliando, sempre peccatori, sempre fragili, ma mai cambiando strada. E invece è avvenuto che gli uomini, ovviamente la civiltà occidentale abbandonasse il cristianesimo, la religione dei padri per altri dei: usura, lussuria e potere. Il poeta dice: “non si sa quando, non si sa dove, non si sa perché”. Giussani raccoglie la sfida e dice “andiamo a vedere che forse un perché, un dove e un quando li possiamo individuare.

La volta scorsa ho fatto un accenno proprio al fatto che in Petrarca e via via a maggior ragione nel 400 nell’umanesimo e poi nel 500, questa crepa all’inizio sottilissima, è già individuabile. In Petrarca il dissidio interiore tra la Vocazione con la V maiuscola, il sentirsi chiamati a Dio, all’essere, alla perfezione, comincia a essere sentito contraddittorio rispetto alle passioni, per esempio rispetto alla passione per la donna, all’amore. È solo un flash, la volta scorsa ne abbiamo parlato meglio, si comincia a porre il problema.

Ora, nella seconda parte del testo, Giussani, raccogliendo la domanda di Eliot, si fa quest’altra domanda radicale: ” È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?” Bene, in quel libretto la riflessione si sviluppa in due parti, e risponde alla prima domanda “è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa” cercando di leggere nella storia dell’occidente questa amnesia, questo tradimento, questa dimenticanza, questo iniziale dubbio che matura fino all’ateismo contemporaneo.

Ma nella seconda parte “o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità” la risposta di Giussani richiede di intravedere che anche questo c’è stato ed è stato nella forma di una protestantizzazione del cattolicesimo europeo. Questo è il tema di stasera. Per questo ho voluto che, prima di proseguire, saltando a piè pari nel 700, si fermasse la riflessione un momento sulla Riforma Protestante. Ma prima di avviare questa riflessione volevo prima di tutto ringraziare chi mi ha scritto, veramente è una cosa che mi ha consolato e confortato. Seconda cosa, essendo io di una ignoranza spaventosa come ho detto nel primo incontro per chi c’era raccontando il mio curriculum, alcuni mi scrivono facendo domande, precisazioni e anche obiezioni. In particolare due le voglio leggere perché rispondendo partiamo con la riflessione, e devo questa risposta a queste persone che mi hanno fatto queste precisazioni.

Uno scrive: “C’è stata è vero anche una componente aristocratica e borghese con inclinazioni anti-clericali e anti-feudali che in alcuni casi rasentava la scomunica e l’eresia nelle pratiche umanistiche, ma il tutto avveniva in una realtà assolutamente cristiana e timorata” E fa degli esempi “Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, lo stesso Michelangelo” e lì ho capito, a questa osservazione “insomma stai attento perché devi avere un po’ esagerato”, ho capito che poteva essere stato equivoco quello che ho detto la volta scorsa. Come prima cosa, modestamente, ritengo che già da dentro la filosofia medievale, con il nominalismo, c’è qualcosa che comincia a insinuarsi in quella certezza che aveva costruito la fede cattolica, la fede cristiana. Perciò quando segnalo che Petrarca o Lorenzo il Magnifico con la sua canzone di Bacco e Arianna, per dire testi che tutti conoscete “quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia del doman non v’è certezza“, quando segnalo questi testi non è per dire che a un certo punto han votato e sono diventati tutti atei il 31 dicembre, non è così. Secondo voi io nego che Michelangelo fosse cattolicissimo? Stiamo facendo un altro ragionamento. L’Europa almeno formalmente rimane cristiana fino all’altro ieri, stiamo facendo un altro ragionamento. Stiamo andando a vedere quale è quel filo inizialmente perfino difficilmente riconoscibile, ma quel filo che è individuabile in alcuni pensatori, in alcune opere, che darà origine nei secoli al razionalismo e all’ateismo contemporaneo, a una certa idea della scienza, ma lo vedremo nelle prossime serate. Lungi da me sostenere che l’umanesimo in quanto tale o nella sua totalità è ateo o miscredente, si capisce questa motivazione? Il problema è che per necessità di sintesi si rischia inevitabilmente di incorrere in semplificazioni eccessive.

L’altra domanda interessantissima è “non è un po’ ingeneroso verso l’umanesimo, il rinascimento ecc, attribuire tutto a loro lo scostamento dalla retta via? Non è che l’esempio che la chiesa forniva al popolo accumulava nei secoli una distanza sempre maggiore dal messaggio di Cristo tale che poi ad un certo punto non ce la si faceva più a trasmettere la fede come si era sempre fatto? E la rivoluzione culturale, il ’68, la tv, la cultura materialista, sono davvero cadute dall’alto, dal diabolico o rispondevano anche a un bisogno di verità, a una sensazione di falsità, di non adeguatezza di quella che era allora la cultura cattolica e la religione? La nostra generazione se lo ricorda com’era la scuola, com’era la Chiesa, com’era la società prima di quei movimenti! Con tutti gli errori, le contraddizioni, le mode, le imposizioni che quei movimenti hanno portato e che più o meno ingiustamente ti indignano, non sarei così sicuro di vedere bianco da una parte e nero dall’altra”. Ovviamente una risposta meriterebbe tutta una sera, non la posso dare ma anche qui una battuta permettetela perché va chiarito. Io sono troppo vecchio per pensare ancora che ci siano stati tempi migliori, tempi peggiori, ogni tempo ha le sue. Bisogna viverlo come meglio si può. Rispetto all’obiezione che lei mi fa, io ho solo detto questa frase la volta scorsa che a un certo punto quella tradizione culturale e religiosa che aveva accompagnato grossomodo il popolo italiano tanto da far riconoscere ancora oggi a molti tra noi nel contadino, nei racconti dei nostri genitori, far riconoscere nei nostri genitori, quell’humus cristiano che ha retto per venti secoli l’Europa, a un certo punto molto preciso quell’humus è stato abbandonato ma perché pesantemente attaccato, attraverso mezzi molto precisi, in questo sono molto pasoliniano, che sono la tv in particolare e la scuola di stato, se volete metteteci anche il giornalismo ma dico tv per dire il mondo dei media che in modo molto veloce e violento ha operato una mutazione culturale nelle case della gente. Cioè quella cultura che era rimasta fino a quel momento relativamente appannaggio di un’aristocrazia intellettuale e borghese diventa la cultura del popolo, la cultura dei nostri figli. Separando due generazioni in un modo che le rende inconciliabili, incapaci di dialogare. Nasce il problema di una generazione che ha la fede e non sa più come dirla ai propri figli che sono lontani anni luce. Questo io ho detto, non ho voluto entrare nel merito della bontà o meno del ’68, dei movimenti che l’hanno caratterizzato, a cui per altro ho partecipato. Quando si dicono queste cose si cerca di capire un fenomeno, non di giudicare il ’68 se avesse ragione nelle sue velleità di rinnovamento rispetto a una Chiesa che era obiettivamente molto formalistica, molto istituzionalizzata, molto ritualistica. Ma certo, è ovvio. Non posso attardami di più ma anche stasera abbiate pazienza perché il rischio lo corro ancora di più di semplificare in modo rozzo il tema vastissimo della riforma protestante, ma cercate di capire l’intendimento che non è un giudizio storico sulla Riforma protestante, che non sarei in grado di dare, ma è cercare di dar ragione di alcuni aspetti di quello che andremo a dire e che, capendo la Riforma Protestante, risultano un pochino più chiari.

Detto ciò ho scelto di fare una cosa un po’ osé cioè di dirvi quello che volevo dirvi stasera essendo appunto il discorso complicatissimo, facendovi vedere un affresco che a mio parere è sintetico di tutto quello che vorrei dire.

[Affresco del Cristo-vite all’interno della Cappella Suardi situata a Trescore Balneario (BG)]

Prima di entrare nel merito di questo affresco chi lo conosce alzi la mano. 4 su mille, sono contento di aver fatto questa scelta. C’è una precisazione da fare che mi sembra importante. Mi ha sempre colpito molto degli anni ruggenti del dibattito pre-conciliare, conciliare e post-conciliare il fatto che mi pareva che la Chiesa stesse vivendo un equivoco, una riduzione che a naso per come mi aveva insegnato mia madre il cristianesimo non mi convinceva, non mi piaceva e che poi mi è sembrato di capire nelle sue regioni appunto quando, diventato più grande, ho studiato qualcosina. Perché una delle caratteristiche, (volute o non volute è un altro problema che non voglio affrontare: non sto dicendo che il protestantesimo di Martin Lutero fosse questo, sto dicendo che è il dibattito che Lutero scatena) è per esempio la questione della lettura della Bibbia. Accentua tantissimo l’idea che per ispirazione divina il singolo individuo, cioè il soggetto, saltando a piè pari la communio ecclesiale, entra in rapporto con il divino, con lo spirito nel libero esame, nella libera interpretazione della scrittura. Questo mi sembra che ha portato nel cattolicesimo come onda lunga un fraintendimento, cioè un’eccessiva sottolineatura della religione cristiana come religione della parola. Capitemi bene, ci sono stati anni in cui proliferavano i gruppi del Vangelo, i gruppi della parola, ci fu una esasperazione dello studio della parola che arrivò in quegli anni perfino a immaginare che il rito in quanto tale della messa alla fine quasi quasi si poteva anche evitare, l’importante era la parola. E così fior di libri, anche di religione, parlavano delle tre religioni del libro: gli ebrei con la Torah, i musulmani con il Corano e i cattolici cristiani con la Bibbia. Ma io ero bambino e se mi dicevano “la religione del libro” io saltavo sulla sedia e dicevo: “No, il cristianesimo che ho imparato io non è un libro, perché se era una questione di libri invece che nascere Gesù piovevano Vangeli. Avrebbe dettato un libro, ispirato qualcuno che lo scrivesse! Io quando faccio il Presepio a 60 anni mi viene ancora la pelle d’oca a pensare che il Cristianesimo è un fatto, non è un libro, una teoria, una esistenza dimostrata per via di ragione in senso razionale. È un bambino, e tu, pastore o re magio, sei ugualmente sorpreso da una notizia che ti raggiunge indipendentemente dal ragionamento, dagli studi, da tutto quello che puoi aver fatto. Certo che poi c’è da pensarci perché l’uomo pensa, ha bisogno della ragione per riconoscere quel fatto, ma quel fatto lo precede. Così come lo precede l’essere, l’esistenza delle cose. A me aveva insegnato così la suora, e la mamma quando facevamo il presepe, che il cristianesimo non è una religione nel senso del tentativo degli uomini di conoscere Dio, è un fatto, è Dio che decide di conoscere gli uomini, di farsi conoscere dagli uomini attraverso un bambino deposto in una mangiatoia. L’anno tale, sotto il governo di Tiberio, essendo sindaco della città il tale nel tal posto in via tale è nato un bambino. Se vi interessa quello è Dio, correte ad adorarlo pastori o re magi, preti o suore, laici o quel che volete voi. Sentita la notizia qualcuno è andato a vedere se era vero, fine. Va avanti così e finirà così il cristianesimo. La sua riduzione a parola è rischiosa, anche se adesso se ne discute molto meno devo dire, anche dal punto di vista teologico. Ma queste cose si dicevano nei seminari! Ho partecipato anche a un corso di teologia in una certa città e ho dovuto sentirmi dire che i Vangeli li ha scritti la Chiesa dopo tanto tempo a suo uso e consumo, che si è certi della nascita di Gesù ormai e si è certi anche della sua morte. Sulla resurrezione boh… E io, insegnante di religione alzai la mano e dissi: “Va bene, dico che è nato, che è morto, posso dire che sta un po’ meglio? Se proprio non posso dire che è risorto posso almeno dire che sta un po’ meglio?” Fior di teologi in un seminario. In questo senso dico che il cattolicesimo ha pagato una riduzione a parola del fatto cristiano. Poi l’esasperazione della parola ha portato con sé anche l’esasperazione dell’antico testamento. L’idea del popolo che sta in cammino, va tutto bene, ma a me solo l’idea del cammino che te non sai se arrivi mai non mi piace. L’antico testamento fu veramente il cammino di un popolo verso il momento della redenzione, quel momento del tempo che ha dato significato al tempo, per dirla con Eliot. Ma hanno costruito migliaia di tende, cioè di chiese a forma di tenda per ricordare il cammino nel deserto. Che ci sta eh ragazzi, ma quando ci sono troppe tende in giro a me viene su il magone perché poi entri e cerchi Gesù, perché te in Chiesa ci vai per cercare Gesù, non lo trovi o ti tocca cercarlo in un angolino proprio nascosto perché il problema era rendere l’idea della tenda, del popolo insieme in viaggio. Ragazzi io mi sono sentito arrivato quando sono venuto il mondo e ho fatto il primo presepio. Non arrivato, è Dio che mi ha raggiunto capite? È Dio che si è presentato nella vita e nella storia dell’umanità e nella mia come ha fatto. Poi c’è tutta la vita come cammino per andargli dietro, ma anche questa valorizzazione dell’antico testamento si è un po’ giocata a spese del cuore del cristianesimo, del cattolicesimo. Anche questo veniva un po’ da un certo modo di intendere la Bibbia protestante. Perché, lo vedremo benissimo nelle prossime serate: se la fede non è un amore, se Cristo non ti avvince tutto, testa, cuore, istinto, se la Verità non è un amore cosa te ne fai? Finisce per diventare necessariamente una legge. Perché alla fine ebrei e islamici, in modo diverso, tendono ad esasperare, essendo religioni del libro, che cosa? Se Dio non si è fatto compagno della vita e non mi perdona e accompagna passo passo, l’unica cosa che posso fare è rispettarne i comandamenti cioè la legge nel senso formalistico del termine. E così si torna indietro. Gesù era venuto a liberarci dalla schiavitù della legge e si torna invece a prima di Gesù, sotto la legge, cioè sotto il potere perché alla fine della fiera la morale, se Dio non è compagno alla vita dell’uomo, la moralità di una società la fisserà il potere secondo la sua convenienza. Questa è una legge della storia a cui bisogna stare molto attenti. Se non è un amore non è oggettivo, è difficile recuperare un’oggettività della legge. Fatta la legge, trovato l’inganno, il potere la piega a suo uso e consumo sempre e così ci assolviamo allegramente di colpe che non accettiamo più di riconoscere come tali o ci condanniamo allegramente per colpe che a volte grazie a Dio nella vita cristiana non lo sono. Non tutto ciò che è reato è peccato e non tutto ciò che è peccato è reato, per fortuna. Io rimarrei cattolico solo per questo, oltre che alla questione del pane e del vino. L’ultima conseguenza, poi passo all’affresco, la conoscete tutti, la cito soltanto, è una difficoltà a vivere sia l’unitarietà dell’esperienza della fede sia l’unità del corpo mistico di Cristo, l’unità ecclesiale. La communio tendenzialmente salta per aria, non a caso ancora negli anni di Lutero la stessa ondata di riforma si spezzetta in strade e chiese diverse: calvinismo ecc fino alla polverizzazione attuale in sette, le più diverse, tutte nate in qualche modo da quel tronco che fu la Riforma. Perché se non c’è un corpo ecclesiale la cui unità è custodita e garantita dallo Spirito nella persona del Sacro Romano Pontefice è inevitabile che nel tempo “tot capita tot sententiae” dicevano i latini. Mia mamma diceva “tace cò, tate crape”: ognuno ha la sua idea di Chiesa, di Dio, di fede e, tendenzialmente, ognuno è Chiesa a se stesso. Questi mi sembrano i tre fattori che la Riforma protestante nei secoli offre a pretesto di un certo pensiero che prende man mano le distanze sempre più radicalmente dalla tradizione cattolica. Con in più evidentemente la grave ferita che questo porta con sé perché se gli illuministi potranno dire “basta con la religione che ha fomentato le guerre” è anche a causa di questa terribile lacerazione. Anche se nei secoli le cosiddette guerre di religione non furono quasi mai guerre di religione, ma guerre assolutamente politiche ed economiche che usavano la religione come pretesto. Quando sento le parole “guerre di religione” mi viene un nervoso…Comunque certamente sono state chiamate così, hanno visto combattere eserciti che si fregiavano dell’appartenenza a confessioni diverse, è stato un buon gioco per un certo pensiero moderno dire: “Vedete, la religione in fondo è fonte di violenza, non di pace. Quando ci libereremo dal fanatismo religioso forse la pace universale sarà più vicina”. Ecco, come conseguenza storicamente l’occidente ha pagato e forse continua a pagare questa menzogna clamorosa che pochi si prendono la briga di smascherare.

Detto ciò io vi illustro questo affresco che è una cosa incredibile. Dovete sapere che è stato realizzato da Lorenzo Lotto, che avrete presente come in assoluto uno dei più grandi pittori del Rinascimento, a conferma anche di quello che dicevo prima: uso un pittore del Rinascimento per dire che cos’è il cattolicesimo. Questo Lorenzo Lotto ha dipinto questo affresco a Trescore Balneario dove io sono nato e vivo ancora oggi. Per una strana coincidenza si trova a realizzare famosissime opere a Bergamo alta, dove conosce uno dei governatori della Serenissima, della Repubblica di Venezia e si trova a lavorare insieme al conte Gianforte Suardi che vive in Città alta in una casa nobiliare ma ha le proprie tenute di campagna nella zona appunto di Trescore, tra Bergamo e Brescia. In questo possedimento ha anche una cappella che è utilizzata e frequentata spesso dai contadini del luogo: la sera si fermano lì a pregare, la servitù sente la messa lì come tutta la famiglia Suardi, insomma, è utilizzata dalla gente. A 50 metri dalla cappella passava la strada statale 42 del Tonale e della Mendola, cioè la vecchia strada che scendeva dai paesi tedeschi, passava il Brennero, scendeva dal Tirolo e lì, proprio a Trescore la strada si divideva verso Brescia o verso Milano. Da lì passavano le soldataglie tedesche che venivano a far guerra ai francesi, agli spagnoli ecc. Sapete che quelli erano anni in cui l’Italia fu usata come teatro di battaglia. Solo questo dato è pazzesco: Lutero affigge le 95 tesi come sapete la vigilia di Ognissanti del 1517, e l’affresco è realizzato nel 1524, sette anni dopo, senza televisione, senza radio, senza giornali. A Trescore Balneario un pittore veneziano ci pensa, capisce e fa questa cosa incredibile, sette anni dopo soltanto.

Era successo che il conte Suardi aveva registrato una confusione tra sua gente, un po’ come adesso, una grande confusione. Perché le soldataglie che scendevano da nord e si fermavano a volte per settimane o per mesi erano già protestanti, erano già eserciti partecipanti alla Riforma, a volte avevano al seguito questi predicatori che dicevano cose strane, che bruciavano le immagini sacre, che dicevano male dei sacramenti e la gente non poteva neanche immaginare che potevano esserci preti-non preti, cioè fuori dalla Chiesa. Vedeva preti che non confessavano più, che parlavano malissimo del papa. Una confusione! Allora il conte Suardi dice: “Io voglio aiutare la mia gente a capire che cosa sta succedendo”. Prende il Lotto e gli dice: “Senti, io ho la mia chiesetta là di campagna, facciamo una roba: spieghiamo alla gente cosa succede, attraverso il linguaggio che la gente capisce, sono tutti analfabeti e capiscono il linguaggio delle immagini”. Ne discutono, il Suardi è persona molto colta, e realizzano nel 1524 questo affresco che ha la pretesa di dire ai contadini, alla gente, al popolo cristiano che cosa è il cristianesimo cattolico e che pericolo rappresenta la nuova predicazione protestante.

Ora ve lo spiego nei suoi termini fondamentali poi su internet trovate tutto quello che volete.

[Affresco del Cristo-vite all’interno della Cappella Suardi situata a Trescore Balneario (BG)]

La cosa funziona così: la cappella è piccolissima, devono essere 7 metri mi pare. Quando il Lotto arriva  trova dipinto, già realizzato soltanto l’affresco dell’abside. Ma è interessante perché la cappella è intitolata (alla faccia della Chiesa Cattolica contro le donne), a 4 donne: santa Caterina da Varsavia, santa Brigida d’Irlanda, santa Maria Maddalena e santa Barbara. Che hanno in qualche modo tutte la funzione di proteggere la vita contadina: una protettrice dei fulmini e perciò degli scoppi e perciò della morte indifesa da cui allora si chiedeva di essere preservati, non come ora che si chiede di avere un colpo senza soffrire. Loro invece temevano la morte improvvisa peggio della peste perché volevano morire in grazia di Dio. Santa Barbara sapete bene che è anche il nome della polveriera delle navi, protegge appunto dagli incendi. Insomma, quattro sante che con i contadini hanno molto a che fare. Essendoci già questa dedica i due pensano di dedicare l’affresco principale alla storia di Santa Barbara. È una santa di Nicomedia, siciliana, e martirizzata dal padre nel III secolo perché si converte al cristianesimo. Per cui i dipinti sono noti anche come “Il ciclo di Santa Barbara” o “Cristo Vite”. La cosa più pazzesca è questa, che nell’affresco principale la narrazione si sviluppa su due piani come potete vedere: in primo piano un gigantesco Cristo, questo cristo incredibile che ha scritto sopra la testa “io sono la vite, voi i tralci” dipinto con i colori dell’umanità e della divinità, con ai piedi i committenti, la famiglia Suardi. Tra l’altro mi ha impressionato perché il pronunciamento congiunto protestanti e cattolici fatto con papa Francesco qualche anno fa, comincia con la citazione di questa frase. Allora, questi per far capire che cosa è la Chiesa dipingono questo Cristo incredibile, mai visto, mi sono sempre chiesto se esiste qualcosa di simile ma anche molti storici dell’arte mi han detto di no, con queste dita che fisicamente proseguono, diventano di legno e vanno a costituire i tralci della vite che sopra di lui si arrotolano in questi giri i cui frutti sono evidentemente grappoli d’uva ma più profondamente i santi della Chiesa. E così le cinque dita raccolgono la storia della Chiesa nelle sue figure fondamentali, con a sinistra le donne. Il volto di Cristo è una cosa meravigliosa perché tutta la morale del dipinto è “tenere gli occhi su Cristo, guardare lui”. Sopra, a partire da sinistra ci sono le grandi sante, dall’altra parte gli uomini. La vite inizia con san Giovanni Battista, il precursore e in cima e in fondo vediamo due santi con la parola di Dio in mano, crocifisso impugnato decisamente, nell’atto di gettare dalla scala un gruppo di contadini che, armati di roncole e falcetti, davano l’assalto alla vigna. Badate bene, non assaltano Cristo. Ognuno di loro ha scritto un nome. C’è “paganus”, i giudei che hanno crocifisso Cristo e via via Gioviniano, Saverio, tutte le grandi eresie dell’inizio della Chiesa accomunate (è una sintesi filosofica e teologica poderosa) dal fatto che attaccano il corpo del cristianesimo e cioè il verbo fatto carne, l’idea di incarnazione. Perché nel cattolicesimo, analogamente a come Dio si è fatto carne in Gesù, Gesù permane nella storia cioè nel tempo e nello spazio attraverso la Chiesa, fisicamente corpo mistico di cristo. E tu, se tocchi un santo, tocchi il corpo di Cristo. Anzi, se tocchi un battezzato tocchi il corpo di Cristo. Allora tutte le eresie, in fondo, hanno questo in comune: attaccano il Sacramento cioè attaccano l’incarnazione. Il Lotto li mette tutti in fila ma sconfitti, precipitati dalla scala ad opera in particolare da questa parte di san Girolamo e dall’altra parte, stessa scena, Sant’Ambrogio i grandi padri della Chiesa che hanno contestato le eresie. Un particolare forse interessante: dove è Cristo è la vita, dove appoggia i piedi Cristo c’è il verde, c’è l’erba, attorno, dove ci sono i pagani, il deserto, tutto muore. Questo è il primo piano.

Dietro vediamo un fumettone pazzesco che per i canoni dell’epoca è una novità incredibile. Senza soluzione di continuità, in un unico scenario geografico e architettonico che ricorda un po’ la piazza di Trescore con il monte sullo sfondo, si sviluppa in scene come a fumetti, la vita di Santa Barbara. La scorriamo velocissimamente. A partire dalla parte sinistra dove la vicenda comincia, la santa si converte per la predicazione di un frate che le parla del Dio cristiano indicato con un tre della Trinità, lei si converte, sputa sulle immagini pagane, c’è scritto “Giove” a sintesi di tutto. Torna in patria dal viaggio e il padre le dice “adesso è ora di tirarsi insieme, trovati un marito” e lei gli risponde “no, guarda mi dispiace, ho già sposato Gesù”, indica l’abito e la Trinità e dice che non si sposa. Nella scena della torre, dove stanno preparando la casa dove si deve sposare, lei in omaggio alla trinità chiede che sia aperta una terza finestra ancora più a sinistra, per omaggiare la Trinità anche nella forma della casa che va costruendo. Il padre la trascina in giudizio, vediamo tutti i diversi momenti della sua persecuzione, cerca di scappare, si rifugia in cima alla montagna, poi scappa, un contadino la identifica, il padre la trascina di nuovo in paese, la fa giudicare ma la cosa che dovrebbe saltare all’occhio a tutti voi è una cosa ben strana e cioè? Sto padre vestito da turco? Nel III secolo? Non ci sono i musulmani nel III secolo, Maometto è di tre secoli dopo, nel 622. Cosa ci fa un padre vestito da turco e un collegio giudicante fatto tutto di musulmani, di personalità dell’islam? E poi, mentre viene torturata e giudicata Cristo le appare e di notte la risana. Le tagliano le mammelle e il giorno dopo viene trascinata in piazza di nuovo integra. Cristo le sana continuamente il corpo martoriato ma lì, a martirizzarla ci sono due lanzichenecchi, cioè due soldati tedeschi tendenzialmente protestanti, visti i tempi che corrono. Capite?

Il messaggio che il contadino lì coglieva era semplice: guardate che esattamente come i grandi eretici degli inizi del cristianesimo, esattamente come i turchi che ammazzano i cristiani lungo tutte le coste del Mediterraneo, questi che vedete fuori, che vi raccontano tutte queste fregnacce, sono quelli che ammazzano i cristiani, uguale! Non fidatevi, è una trappola mortale, state attaccati a Cristo come ha fatto santa Barbara e salverete la vostra anima e la vostra vita.

Andando ancora a sinistra dove c’è la santa vedete un levriero bianco a destra della torre, che è uno dei particolari più belli. La vicenda comincia con un richiamo molto forte: la santa sarà sempre seguita in tutte le scene da un cagnolino bianco simbolo della fedeltà, tutte le figure sono accompagnate dal cagnolino bianco. Ma qui, centrale, che parte dalla santa, il levriero simbolo della santità e della fedeltà a Cristo. Chi fa così avrà la vita eterna, chi fa come quelli lì sulla scala avrà la morte eterna. Guardate questo ultimo, Gioviniano, si copre il volto terrorizzato, cosa avrà visto? Ha visto nell’erba, sotto il cane bianco, un ramarro che, a fauci aperte, simbolo della morte nella cultura contadina dell’epoca, lo guarda. Allora si spaventa perché capisce che l’eresia a cui ha aderito lo porterà alla morte. Mentre chi fa così è destinato alla vita eterna, simbolizzato dalla chiocciola, che è simbolo della vita eterna. In questa triangolazione di tre bestioline c’è un messaggio ben chiaro. Io, se non me lo spiegano, non capisco, ma il contadino dell’epoca capiva tutta la dottrina, tutto il catechismo. Di cose così ce n’è un’infinità, ma stasera non abbiamo tempo. C’è tutta la storia della santa che quindi patisce il martirio, viene trascinata sulla pubblica piazza, sempre un angelo le porta una veste bianca con cui coprirsi e, bellissima la scena del carro: viene trascinata fuori, seguita un po’ come nel calvario dalle pie donne, che sono ovviamente le donne della famiglia Suardi che la piangono e pregano per lei. Scena strepitosa citata da tutti i libri di storia dell’arte: bambini che giocano, chi chiacchiera, chi fa proprio il mercato. Ai ragazzi dico sempre: “Vedete le due donne? Una indica all’altra quello che sta succedendo e l’altra si mette a pregare, la terza mi piace pensare che quelle cose verdi siano cavoli e che lei si stia facendo i cavoli suoi e si perde la santità che le passa davanti. Il cristianesimo non è che dovete andarlo a vedere a Roma, passerà in piazza, passerà dalla discoteca. Il problema è se sei impegnato a farti i cavoli tuoi le perdi”. Sant’Agostino diceva: “Una cosa sola temo nella vita: che Dio mi passi accanto e io non lo riconosca”. Qui è esemplificata in modo clamoroso: due donne vedono Cristo che nella testimonianza della santa gli passa accanto e una no, dipende da dove si guarda. Poi viene martirizzata, si prosegue sulla destra, è il padre stesso che si incarica di ucciderla, sulla collina. Il padre e la truppa che lo accompagna sono poi colpiti da un fulmine che incenerisce tutto il drappello mentre il prete che ha convertito la santa, accompagna il feretro e le fanno il funerale.

Questa è la storia.

La cosa incredibile è che tutto questo ha dei rimandi e dei richiami e delle citazioni. Sul lato opposto è dipinto il ciclo di santa Brigida d’Irlanda, non più un fumettone come abbiamo visto ma a quadri, come era più tradizionale fare. Questa è la parete di fronte a Cristo, incredibile perché ha una cornice che prosegue poi nella parete di fondo con dei medaglioni sui quali sono raffigurati alternativamente una sibilla, cioè una profetessa pagana e un profeta dell’antico testamento. La grande idea medievale e rinascimentale che il cristianesimo è sintesi delle due grandi religioni, delle due grandi storie religiose dell’umanità prima di Cristo: ebraismo e classicismo, che giungono a compimento e a sintesi in Cristo e nel cristianesimo. Quindi una valorizzazione delle due tradizioni. Interessante è guardare il dipinto che sta sotto, cioè i miracoli di Santa Brigida d’Irlanda, non li stiamo ad analizzare perché non c’è tempo ma mi interessa farvi vedere questo, un miracolo che non mi piace: tramuta l’acqua in birra, ma vi pare? Non esiste. E invece questa è una cosa portentosa. Vedete che qui difende dalla tempesta e dalla grandine la vita dei contadini, la mietitura, e questo scorcio è incredibile. Quell’albero secco è esattamente di fronte al volto di Cristo “io sono la vite e voi i tralci, chi si stacca diventa secco”. L’albero secco di fronte a Cristo è una fotografia impietosa della storia della Chiesa: il gregge viene diverso da un cinghiale, da un maiale selvatico, dal nemico. È consapevolmente un richiamo a come si descriveva in certi ambienti cattolici l’arrivo del protestantesimo. Perché qui c’è tutta un’analogia tra la peste, il flagello che uccide, fa venire la carestia, e il flagello del protestantesimo, che è l’eresia. Morte di qua e morte di là, l’una che richiama l’altra, in una teologia della vita e della morte che è incredibile. Questa è la scena di quel che sta succedendo: il gregge, il popolo di Dio messo in fuga dal nemico, confuso, spaventato e il buon pastore che dovrebbe dare la vita per le pecore, in questo caso il papa, è il primo a tagliare la corda. È davanti alle pecore che fugge. Ma quando l’istituzione tradisce o viene meno, Dio cosa fa? Per salvare il suo popolo suscita il carisma, suscita la santità, suscita i santi. E così l’alternativa alla figura del pastore che fugge è la santa che educa, che evita il pericolo, che ammansisce e rende buono il cinghiale. Il finale della storia è la Chiesa ricomposta. È la santità di lei che permette al gregge di ricostituirsi in unità. Si capisce?

Gli ultimi particolari, bellissimi, sono: la parete di fondo che rappresenta in due quadri enormi il martirio di santa Caterina d’Alessandria e, soprattutto, sopra la porta, Santa Maria Maddalena che si dice, dopo l’ascensione, essersi ritirata a vita eremitica in una caverna e per tutta la vita essersi cibata esclusivamente dell’eucarestia che un angelo le portava tutte le mattine, cioè Il Sacramento, ma detto con gran forza. Pensate che sul soffitto continuano i tralci della vite e vanno a finire dall’altra parte dove c’è Brigida d’Irlanda e diventano dei tralci di vite fruttuosissimi dove degli angioletti raccolgono i frutti della vite che perennemente genera. Mentre giocano tra cartigli che riproducono tutte le citazioni dell’antico e del nuovo testamento che hanno a che fare con la concretezza, con il corpo, con il mangiare e con il bere, cioè con il Sacramento. Stupendo…

La prossima volta la lezione sarà sia su Foscolo sia sul capire che il cristiano è il più grande materialista della storia, è tutto meno che spiritualista. Ci inginocchiamo davanti a un bicchiere di vino e a un pezzo di pane! Questa è l’idea che vorrei lanciare: la dignità della carne, della materia. Per questo tutti i cartigli riportano le citazioni della manna del deserto, l’acqua che scaturisce dalla roccia, le nozze di Cana, tutto quello che ricorda che Cristo, Dio si è fatto carne.

Ultimissimo: solo recentemente, dopo dispute di secoli, si è appurato in via definitiva essere questo [cacciatore con fascio di canneto sulla spalla] niente di meno che l’autoritratto di Lorenzo Lotto il quale, proprio sopra la porta dell’uscita, è come se salutasse chi ha visitato la cappella dicendogli di tenere lo sguardo fisso su Cristo. Ed è come se dicesse: “Io ho fatto la mia parte. Dipingendo tutto ciò ho cercato di allontanare da voi la trappola mortale che sono queste nuove idee che vi stanno infilando in testa. Sono come un cacciatore che porta via queste canne biforcute”. Canne che venivano messe solitamente attorno a un praticello in mezzo al quale veniva legata una civetta (che lui ha qui sul guantone), cieca alla luce del sole (vicino c’è la guarigione di un cieco, quindi dice di tutto il problema di vedere). La civetta che non ci vede cerca di volare ma ripiomba a terra. L’uccellino che dall’alto vede questo uccello di grosse dimensioni che salta continuamente pensa ci sia da mangiare, cala giù e si appoggia sulle canne che lì in cima sono coperte di vischio e rimane invischiato. Il cacciatore alla sera passa e cattura gli uccellini rimasti sul vischio attirati dalla civetta. Il Lotto, cappellino da pittore, vestito da cacciatore dice: “Ragazzi, io ho cercato di allontanare da voi la trappola mortale di questa predicazione, di queste nuove idee. Io quello che posso dire è che questo è il pericolo, guardate Cristo, cercate il suo volto, cercate la sua presenza e vivrete felici, avrete salva la vita”. Come se salutasse il visitatore sulla porta dicendogli proprio “occhio perché rischi la pelle”.

Pensate che papa Francesco quando ha fatto la preghiera ecumenica nella cattedrale comincia così: “Rimanete in me e io in voi, queste parole pronunciate da Gesù…” E la dichiarazione congiunta conclusiva dell’incontro 31 ottobre 2016 comincia così: “Rimanete in me e io in voi, come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vita, così neanche voi se non rimanete in me”. Mi ha colpito la coincidenza, qui usata per denunciare l’errore, ma usata invece dai 3 papi, Benedetto XVI, Giovanni Paolo II e recentemente Francesco, in tre momenti diversi ad invocare proprio la fedeltà a Cristo come unica via per tornare all’unità della Chiesa.

A don Fabio Rosini le conclusioni:

Diciamo così, che io non sono assolutamente all’altezza, dò il mio piccolo apporto. Questa è sempre la prima azione con cui inizio con i seminaristi, quando mi fanno parlare, chiedo: “Qual è il momento, il fatto che ha cambiato la storia più rilavante dell’ultimo millennio?” E qualcuno mi sa rispondere, in genere nessuno.

La storia degli ultimi 500 anni è la storia della memoria, di una memoria cancellata, di una salvezza che non si sa più da dove viene. L’uomo ha una dignità, un’identità. Se la seconda persona della Santissima Trinità è morta per me, io chi sono? L’uomo percepisce una grandezza immensa di sé che Cristo gli consegna. L’uomo prende possesso e gioisce nel Medioevo di questa dignità ma ha voluto fare il passetto oltre: se qualcuno mi regala qualche cosa di molto importante e io mi dimentico di chi me l’ha regalato inizio a pensare che sia una cosa mia e non ricevuta. La conseguenza di questo fatto è che io sono importante ma non so più perché, siccome questa è una dignità che si riceve nel rapporto con Cristo, quando inizio a sgretolarmi, quando io non so più veramente perché sono così importante e cado, non so più come ritrovare la strada. Allora uno ha capito di essere bello, meraviglioso, inizia un viaggio di auto-giustificazione della sua bellezza. Io non sono bello perché sono bello, io sono bello perché qualcuno mi ha fatto. E quindi scartiamo l’ipotesi che si chiama individualismo e la de-ecclesializzazione. Franco l’ha spiegato prima, la de-ecclesializzazione ha portato alla “parolizzazione” della Chiesa, chiamiamola così, della islamizzazione della Chiesa. Perché questa è una visione islamica, queste cose le ho sentite dire da papa Benedetto XVI quando a noi preti fece una lezione strepitosa su quale è la differenza tra la Bibbia e il Corano, cioè che il Corano è parola di Dio che chiaramente secondo loro Maometto ha scritto le cose dettate al suo orecchio. Noi abbiamo qui dietro San Luigi dei Francesi, dove c’è il quadro di Caravaggio dove si vede la scrittura del Vangelo da parte di San Matteo con un angelo che gli detta le cose. Vuol dire che è una dettatura, questo è il concetto di ispirazione pericolosissimo, è islamico. Avrete in mente i Blues Brothers, quando c’è il momento dell’ispirazione, cioè che Dio attraverso un raggio colpisce John Belushi, questo concetto di ispirazione, ed è un concetto individualista. E, come diceva Franco, nella Bibbia non è così, quella è una parola che nasce dai fatti, il popolo di Dio fa esperienza di fatti, in cui Dio si rivela loro. Questo diventa memoria e questa memoria è diventata liturgia e la liturgia ha un supporto che si chiama carta scritta, tutto qua. È un popolo che celebra la sua memoria, è come marito e moglie che fanno il 25esimo di matrimonio, tutti contenti, hanno delle foto, hanno degli scritti, che testimoniano una realtà. Ed è sempre così: se ritroviamo la lettera che mio padre ha scritto a mia madre per dichiararsi a lei che dice: “Le propongo signorina un apostolato di coppia”, questo rappresenta la memoria di quel rapporto. E così la parola di Dio. Dice Sant’Agostino: “Se anche bruciassero tutte le Bibbie del mondo non è un problema, perché ci sono i cristiani”. Il problema non è la Bibbia, è uno che ama la parola smodatamente. Allora che succede? Ma tutto sto macello da dove viene? Lutero era già un risultato, perché il fatto rilevante della storia più importante del secondo millennio è l’invenzione della stampa. Gutenberg 1455, Lutero 1527. Cosa è la prima cosa che stampa il signor Gutenberg? La Bibbia in tedesco. E che succede? Succede che si separa il mondo reale dal mondo del libro. Queste cose le spiega splendidamente un libro di McLuhan, Galassia Gutenberg dove si spiega, lo dico velocissimamente, che il problema è che Gutenberg inizia a riprodurre il libro, ma non è tanto il libro che cambia, è l’atto di leggerlo. Leggere che cosa vuol dire? È un verbo greco che significa “dire”. Ricordo che il testo ebraico è pieno zeppo di segni e segnetti: sono accenti per il testo, perché bisogna eseguire il testo. Se ti regalano un libro inizi a leggerlo, se ti regalano uno spartito tu pensi a suonarlo. Essendo stato musicista ho capito subito che ero di fronte a uno spartito. Chi leggeva un libro lo leggeva sempre ad alta voce perché era uno spartito da eseguire. Sant’Agostino entra in contatto con Sant’Ambrogio quando ancora era un po’ fuori di testa, e un giorno lo trova intento a fare una cosa strana: leggere a fil di voce un testo, cioè lo leggeva solamente con il movimento delle labbra, emettendo appena appena il suono. Questo Sant’Agostino non lo sapeva fare, per lui non era mai solo un contenuto logico, era sempre la materialità di un suono. La Bibbia, ogni libro, un testo dei padri della Chiesa era qualcuno che emetteva sonorità, si eseguiva il libro, questo era leggere, dire il libro. Loro dicevano “te lo sei detto quel libro” e noi diciamo invece “te lo sei letto” perché il punto è che tu pensi alla lettura mentale che avviene solo da Gutenberg in poi. E cosa significa? Significa che io scindo il libro dalla materialità, diventa esercizio mentale. E succede che il libro diventa una cosa e la realtà invece è molto più, in un certo senso, completa. Cosa vuol dire? È qui tutto il problema che ha spiegato Franco, che scindiamo la verità dalla realtà. Un’idea può contestare la realtà. Ed è qui la rivoluzione di Lutero: in nome di un’idea di Chiesa contesta la realtà di Chiesa e questo vi ha preso tutti quanti, me compreso. In nome della tua idea di te stesso conosci e giudichi te stesso. In nome della tua idea, della tua famiglia o di tuo moglie o di tuo figlio o di non so chi tu rifiuti la realtà perché reputi più vero ciò che hai elaborato mentalmente rispetto a ciò che vivi. È l’innamoramento di una aerofagia mentale. La creazione di forme perfette sotto il punto di vista estetico che non saranno mai la realtà. E allora Cristo, nel crocifisso di San Francesco che è una espressione del senso, il crocifisso di San Francesco per dirne uno, o la vita di San Francesco che è stata dipinta da Giotto, diventano dei miraggi. I muscoli sono copiati da un muscolo ritrovato nell’antica Grecia e parte la rivoluzione di coloro che sapevano solo pensare: i greci. È come se tuo marito ti amasse pensandoti, senza mai darti un bacio. E magari pensa tutto sbagliato. La separazione del mondo reale dal mondo del libro ha creato la nostra infelicità. Dove si risolve questa affermazione di verità? Si risolve ad Aushwitz, quando un’idea ti fa ammazzare le persone. Si risolve nei Gulag russi, dove un’idea che il mondo giusto crocifigge il mondo reale. E tu non sarai mai soddisfatto di te stesso perché non sei mai come vorresti essere. Figuriamoci della moglie, dice Franco. E credo che adesso siamo alla terza rivoluzione, siamo nel mondo del virtuale e state molto attenti, non è nemmeno una rivoluzione mentale, è una rivoluzione visiva. Non è un caso che la Bibbia dica “ascolta Israele, non guardare, ascolta”, perché la visione complica. Se provate a chiudere gli occhi noi comunichiamo, se spegniamo le luci uguale. Se spegniamo la radio tu spicci le tue cose, è un blackout esistenziale. I giovani stanno passando dal reale al virtuale, è una cosa drammatica e porterà tanta di quella sofferenza che ci porterà a trovare il Salvatore, io sono convinto di questo. Ho una visione molto positiva del presente. Da un grande dolore arriverà una grande grande umiltà. Dall’uomo che dimentica chi lo rende bello passeremo al momento in cui lo cercheremo.

 

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