Giornata di Studio Vocazione e missione dei laici

Pontificio Consiglio per i Laici – Pontificia Università della Santa Croce

A cinquant’anni dal decreto Apostolicam Actuositatem – 10 novembre 2015

La missione dei laici oggi: Affrontare l’emergenza educativa

Non ritenendo di essere uno specialista, né di educazione, né di Dante, né tantomeno di documenti conciliari, provo a dir qualcosa di quello che ho visto, come faccio sempre quando vado raccontando in giro laddove me lo si chiede.

Prima è stata usata una espressione interessante che posso applicare al mio caso: “ho risposto alle circostanze”. Posso dire la stessa cosa anch’io: non ho mai avuto grandi progetti, la vita era già piena di responsabilità, di fatiche, di lavoro, di entusiasmo per cui non ho avevo bisogno di cercare altro per riempire il mio tempo. È che Dio bussa! Bussa in modo molto concreto.


Ti suona il campanello e arrivano cinque papà e chiedono: «noi ci ammazziamo per tirare su i figli come si deve, e poi alla scuola statale insegnano a disprezzare la tradizione e la famiglia in cui sono cresciuti!». Ed è nata da qui una scuola paritaria che va avanti da 32 anni. Ho insegnato sempre nella scuola statale, contemporaneamente ho aiutato questi papà a fare questa scuola.
Poi i figli ti chiedono di spiegar loro Dante, e tu, in cucina, racconti la Divina Commedia, ti chiedono di rivedersi la settimana successiva perché la storia li entusiasma, e diventano 4, e poi la domenica dopo – era la sola sera libera della mia settimana! – diventano 8, e poi, dopo 4 mesi, sono 284 – il numero è stato calcolato! – e ti stupisce perché i giovani di cui parliamo tanto male si entusiasmano per Dante, cioè per la proposta di vita altissima che Dante comunica e contiene. Ecco! Sono andato dietro alle circostanze! Le circostanze mi hanno portato a fare questa scuola. Poi, a partire da questa scuola, l’amicizia con Padre Berton in Sierra Leone, dove abbiamo gemellato la scuola voluta da lui con la nostra. E poi il passaggio di un prete ortodosso che, mandato dal suo vescovo a capire come funziona la scuola religiosa in Europa, è passato alla mia scuola. Siamo diventati amici. Sono andato a trovarlo. Ho scelto il periodo sbagliato! Era il 28 febbraio e c’erano 35 gradi sotto zero! Mi ha dovuto veramente custodire… Siamo diventati amici e la nostra scuola, la Traccia di Calcinate, si è gemellata con il liceo ortodosso di Kemerovo in Siberia. Vi dico questo perché non mi sento in grado di teorizzare nulla del laicato, se non che “ci proviamo!”. Proviamo a vivere la fede rispondendo alle circostanze in cui Dio ci mette. Ma parto dalla questione di Kemerovo perché mi è accaduta una cosa a cui penso da stamattina, quando abbiamo cominciato i lavori, ragionando sulla Apostolicam Actuositatem.
C’è una domanda che mi porto dietro da quel primo incontro a Kemerovo. Lì l’amico prete mi ha trascinato a tenere un incontro davanti a tutta la diocesi ortodossa di Kemerovo e, un po’ a tradimento, mi è stata fatta una domanda che, semplificando un po’, suonava più o meno così: «professor Nembrini, qui siamo dopo 80 anni di comunismo, la legge ora ci restituisce l’antico potere che avevamo: ci ridà le scuole religiose, ci ridà l’ora di religione nelle scuole statali, insomma, ci stiamo riprendendo il potere che avevamo prima del 1917. Bene! Noi sappiamo che in Italia e in Europa la Chiesa ha avuto un grande potere negli anni ’60, negli anni ’70: ci volete spiegare dove avete sbagliato, visto come siete finiti? Che così noi, che adesso riprendiamo il potere di un tempo, possiamo evitare gli errori che avete fatto voi!». E io mi sono ritrovato davanti a una diocesi ortodossa a rispondere a una 1 “domandina” così!
Vi dico in modo scherzoso, per brevità, la sintesi. Che è questa: ho scoperto in quel mondo quel che si potrebbe descrivere, usando l’espressione terribile che ha usato prima il Cardinale (Sarah), un eccesso di “ateismo religioso organizzato”; oppure “la salvaguardia di una societas christiana”, non del cristianesimo! Cioè mi sembrava di vedere una preoccupazione eccessiva, simile alla nostra ma moltiplicata esponenzialmente, di salvare le “forme” della cristianità. Di salvare i valori derivanti da Cristo, di salvare quel che riteniamo essere, giustamente, la civiltà che il cristianesimo ha portato, e perciò la difesa, giustissima, sacrosanta, anche in piazza, di certi valori, di certe verità. Ma c’è qualcosa di debole in questa posizione, qualcosa che non mi convince! Non mi convince in Italia, dove la vedo ancora presente in tanto nostro moralismo, o ritualismo, e non mi convinceva quando l’ho vista vissuta così fortemente da loro.
Allora ho risposto così – con una risposta che mi è venuta lì per lì, sto cercando ancora adesso di capire se è giusta, non ne sono certissimo! –: «guardate che state prendendo un granchio colossale! Ma voi pensate che si possa tornare indietro? La storia non torna mai indietro! Se voi pensate che, per il fatto che vi ridanno il potere, potete tornare a prima del ’17, siete già sconfitti! Noi questa illusione l’abbiamo già vissuta e persa! La Chiesa non può mai tornare indietro. Può fare solo una cosa: tornare all’origine! Che è diverso dal “tornare indietro”. La Chiesa può tornare a Cristo, sempre! Se si riparte da Cristo, allora, essendo Cristo presente, si può sempre ripartire, anche nella più tragica delle situazioni».
Lo dico perché, per me, anche aiutato da questo confronto e da questi dialoghi straordinari, è sempre stato chiaro che l’emergenza educativa, la questione educativa, è la prima di cui occuparci, perché dove non c’è educazione, dove non c’è testimonianza, non c’è fede. Non c’è più niente. “O Dio o niente!”. E l’educazione è esattamente questa testimonianza che il cristiano offre in quanto battezzato, in quanto cristiano. Dico sempre ai genitori con cui mi capita di parlare: l’educazione non è una cosa che possiamo scegliere di fare o non fare. L’educazione la si fa in quanto si è uomini e donne. Cioè si è testimoni di qualcosa in quanto si esiste.
E allora l’educazione cristiana sarà in quanto sei cristiano: prendi sul serio le circostanze che Dio ti ha dato di vivere ed educherai. Poi, una certa sensibilità può far nascere scuole, può far nascere solidarietà familiari, associazioni; ma è l’esito, non necessario, di una fede che vive per l’entusiasmo per l’incontro col suo Signore. Punto. Non c’è altro. In questo senso, sulla questione dell’educazione mi permetto solo due accenni velocissimi, che sono proprio l’eco di cose sentite oggi. Perché mi sembra che dobbiamo ripartire da lì, con l’entusiasmo di chi dice: va bene, il mondo è andato giù, i valori non ci sono più, è un disastro… Perfetto! Siamo tornati ai tempi di Gesù! Si riparte dall’inizio. È entusiasmante ripartire dall’inizio! Vuol dire che non ci tocca più difendere forme, riti, carte, decreti. Ci tocca “essere”. Essere quel che Gesù è stato, insieme ai suoi amici, allora.
Io quando vedo i ragazzi di oggi, mi entusiasmo. Non perché sono cristiani. Non perché sono bravi. A volte sono veramente cattivi, veramente, apparentemente “persi”. Ma che entusiasmo comporta portare la fede, poter parlare di Gesù, di una vita lieta, di una vita buona, del Vangelo, a ragazzi che ne hanno un bisogno disperato.
Emergenza educativa, certo. Ma l’emergenza educativa non sono loro. Loro sono solo disperati, per una assenza di speranza degli adulti che hanno davanti. Una assenza di letizia negli adulti che hanno di fronte. Questa è l’emergenza educativa. Siamo noi l’emergenza educativa, non loro!
Allora l’educazione, secondo me, è un atto di fede, solo se lo si vive sulla pelle. Non può essere un atto cerebrale. Non è che i sociologi ci devono convincere che la gente sta male se non ha un senso per vivere. O l’hai provato sulla tua pelle o non ce la fai a comunicarlo. Ma l’educazione parte da una certezza che si vive. La certezza del fatto che Dio continua a fare quel che ha sempre fatto. Dio, quando ha creato il mondo, ha fatto due cose, credo – non voglio insegnare ai signori eminenti sacerdoti la Bibbia, ma è come lo spiego a scuola… Quando ha creato il mondo Dio ha fatto due cose. La prima: la realtà, l’universo, il mondo; poi l’ha guardato e ha detto: «Bene! Bello! Una cosa buona!», però mancava qualcosa, perché vedeva le capre, vedeva le bestie che guardavano la luna e non dicevano niente, andavano avanti a mangiar l’erba. E dice: «No! Mi piacerebbe che ci fosse qualcuno che quando guarda le stelle dicesse: ma che meraviglia! Ma che bellezza!». E ha 2 fatto l’uomo. Ha fatto l’uomo perché voleva godersi questa gratitudine. E continua a far questo, continua a creare una realtà bellissima, e il cuore dell’uomo capace di riconoscerla. Cioè capace di sentirla come “segno” di Lui. Tutta la realtà! “Narrano i cieli la gloria di Dio”. Tutta la realtà è “segno” di questa grandezza cui il cuore dell’uomo è destinato. Non c’è tragedia storica, non c’è educazione folle, non c’è menzogna, non c’è potere, neanche del demonio, che possa intaccare, in modo radicale, il cuore che Dio dà a tutti gli uomini quando nascono. Un cuore fatto per lui. Bisogna avere, certo, la grandezza e il coraggio, la forza di una testimonianza capace di risvegliarlo, quel cuore, in giovani che sono, oggi, sofferenti. Vivono una pressione sociale spaventosa e non ce la fanno da soli. Non ce la facevano anche prima, ma oggi veramente soffrono tanto, han bisogno di un segnale così forte… come il telefonino, qui dentro non prende: perché i telefonini qui dentro potessero prendere dovrebbero ricevere un segnale potentissimo. È lo stesso! Il cuore dei nostri figli è sepolto da una pressione sociale terribile e il nostro segnale è debole. Non riesce a svegliare il loro cuore. Questo è il compito educativo, secondo me.

Allora, mi sembra che occuparci di educazione consista nel creare posti dove questo interagire tra la letizia di un adulto e il cuore di questi figli, di questi poveri ragazzi, abbia luogo. Bisogna creare dei posti dove si viva questa relazione, questa proposta. Altrimenti facciamo un’educazione che resta moralistica. Un’educazione moralistica vuol dire che tante volte – non è un’accusa a nessuno, ho vissuto così anch’io con i miei figli tante volte –pensiamo che l’educazione sia come se andassimo per strada con nostro figlio per mano e vedessimo Zaccheo sull’albero. E cosa diciamo al figlio? «Non guardare, eh! Quello là è brutto e cattivo, andiamo in chiesa a dire una preghiera, ma tu, lì, non ci devi mai andare! Non devi neanche guardarlo quell’albero, perché lassù c’è il male». Il risultato di una educazione così è che quel bambino avrà il dubbio che suo padre sia un uomo sconfitto. Perché ha paura. Non ha certezza sufficiente del bene per accostarsi all’albero. L’educazione cristiana che ho imparato dai miei genitori non era così. Mi avrebbero detto: «Franco, stai fermo un momento che ho una cosa da fare!».
Sarebbero andati all’albero di Zaccheo e avrebbero detto: «Zaccheo, vengo a cena a casa tua”. Vengo a cena a casa tua. Cioè, è una misericordia l’educazione. Una infinita misericordia. E poi, sarebbero tornati da me e mi avrebbero detto: «Abbiamo guadagnato la cena anche stasera…» Per cui il bambino guarda un padre così dicendo: «Mio padre è un vittorioso! Partecipa della vittoria di Cristo. Non ha paura di niente. Sfida il male, sfida il mondo contemporaneo, sfida le contraddizioni, certo della Sua presenza». Seconda conseguenza. Se Zaccheo è sceso dall’albero, sull’albero non c’è più niente da vedere. Se invece dici al figlio: «Non andare sull’albero!», prima o poi ci andrà. Perché la curiosità di fare una cosa che non si dovrebbe fare, la curiosità di sapere cosa c’è su quell’albero lo conquisterà. Perciò tu hai perso in partenza. Ecco, finisco così.
Io sogno che i miei figli un giorno possano dire di me non: «Che bravo che era papà!». Lo sanno benissimo che sono un poveraccio. Spero che non dicano di me: «Papà, sei stato credibile!». Io spero che dicano: «Papà, sei stato veramente poco credibile… sei stato incredibile!».
Bisogna che costruiamo, e ne abbiamo una responsabilità enorme, luoghi così. Dove dei ragazzi, orfani – uso qui le parole del Papa che dice che è una “generazione di orfani” –, incontrino degli adulti di fronte ai quali possano dire, anche se sono peccatori, se sbagliano e tutto quel volete voi, che però sono “incredibili”. Cioè, stanno di fronte alla realtà sicuri, certi. Certi della strada.
Poi è una generazione così bella e così coraggiosa che è perfino capace di sostituire i genitori, sanno diventare padri dei propri genitori. È uno spettacolo che vedo spesso. Da questo punto di vista è forse la cosa che mi commuove di più. Proprio con i miei figli, mi sento a volte così debole … come uno che avesse aspettato tutta la vita per portare il proprio figlio in montagna. Allora ti senti pronto, la conosci bene e dici al figlio: «Vieni! È la volta che diventi grande, ti porto in montagna!». Ma non hai fatto i conti con l’età. Con la debolezza. Con i tuoi peccati, che diventano di più con l’età, mica di meno. La coscienza del tuo male che si appesantisce un po’… e hai tuo figlio che vuoi portare in montagna, ma ti cedono le gambe a metà strada e non ce la fai. E tuo figlio ti dice: «Papà, fa niente! Ti porto io. Io ho le forze. Sali! Ti carico io in braccio, però tu continua a indicarmi la strada!».
Io assisto ad una paternità così. La vivo io, con i miei figli. È come 3 se mi dicessero: «Papà, fa niente se sei debole! Che stupore c’è che la debolezza sia debole? Ti perdoniamo! Hai perdonato noi, noi perdoniamo te! Ti carichiamo in spalla, ma tu che ci sei già stato, continua a indicarci la sicurezza della strada». Io vorrei fare scuole cattoliche dove si viva questo. Perciò difendiamole e continuiamo, perché non muoiano, come, ahimè, stanno morendo.

1 commento
  1. Filly
    Filly dice:

    Quanta verità nelle tue parole! Condivido pienamente quanto ho letto perchè ho fatto esperienza di Dio,nelle difficoltà e nei dolori della mia vita.Che il Signore ti benedica!

    Rispondi

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